Secondo concerto – Gedymin Grubba
Loreto, 17 luglio 2012
Ancora una volta, con piacere sincero do il benvenuto a tutti voi, presenti qui, nella Basilica della Santa Casa, per questo secondo concerto del VII festival organistico lauretano – Loreto nel mondo. Dopo il primo concerto, affidato alla nostra Cappella Musicale, il programma di oggi è esclusivamente organistico, ed è su uno dei pezzi che sarà eseguito che mi permetto di proporre qualche riflessione.
Abbiamo già annunciato che la serie di concerti di quest’anno ha lo scopo specifico di prepararci all’evento che marcherà il prossimo mese di ottobre qui a Loreto, e cioè la visita del Santo Padre Benedetto XVI, che, il 4 ottobre, tornerà nel nostro Santuario per ricordare lo storico gesto compiuto dal Suo predecessore, il Papa Giovanni XXIII. Il Papa Buono venne per raccomandare alla Madonna il Concilio Ecumenico Vaticano II, che si sarebbe aperto una settimana dopo, l’11 ottobre 1962. Per questa coincidenza, ogni concerto di questa stagione comprenderà l’esecuzione di un brano musicale dedicato allo Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità, che guida e ispira la Chiesa e assiste il Papa nella Sua missione di servizio all’unità e alla verità.
I maestri invitati ad eseguire i concerti, nel preparare i diversi programmi, incontrano però una difficoltà: mentre è facile trovare opere in musica dedicate a Gesù Cristo, all’Eucaristia e alla Vergine Maria, non è altrettanto frequente reperire brani musicali che abbiano come tema lo Spirito Santo. La difficoltà è stata quindi superata proponendo ai maestri concertisti di eseguire una improvvisazione, che prenda le mosse da una composizione esistente, sia pure breve, dedicata al tema dello Spirito Santo.
Oggi, il maestro Gedymin Grubba affronta l’impegno di ispirarsi ad un mottetto di Orlando di Lasso, pubblicato nel 1588, da eseguirsi a cappella con 6 voci: “Hodie completi sunt dies Pentecostes”.
Il testo musicato dal di Lasso suona così:
“Hodie completi sunt dies Pentecostes, alleluia:
hodie Spiritus Sanctus in igne discipulis apparuit
et tribuit eis charismatum dona:
misit eos in universum mundum praedicare et testificari:
Qui credideritet et baptizatus fuerit, salvus erit, alleluia”.
Ed ecco il testo in traduzione italiana:
“Oggi sono completati i giorni di Pentecoste, alleluia:
oggi lo Spirito Santo apparve ai discepoli nel fuoco,
e diede loro il dono dei carismi:
li mandò in tutto il mondo a predicare e a testimoniare:
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, alleluia”.
Quello che, forse, rende lo Spirito Santo meno popolare tra i compositori di musica, rispetto alle altre persone divine, è la sua assenza di immagine ed il fatto che egli agisce influendo direttamente nell’attività delle persone che sono da Lui ispirate. Egli è quindi più difficile da interpretare. Pensate alla scena della Pentecoste, quale è rappresentata in dipinto dagli artisti: l’attenzione è rivolta soprattutto alla Madonna e agli Apostoli che ricevono lo Spirito, più che allo Spirito stesso.
Nel mottetto di oggi, l’immagine usata è quella del fuoco: “Lo Spirito Santo apparve ai discepoli nel fuoco”. Questo particolare è fedele alla descrizione del momento della Pentecoste offerta dagli Atti degli Apostoli, nel cap. 2, al v. 3: “Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro”.
Il fuoco è potente, è qualcosa di cui tutti conosciamo la forza difficile da controllare, e ancora più difficile da fermare, una volta che è fuori controllo.
Il fuoco ha una doppia qualità: illumina e riscalda. Applicata allo Spirito Santo, l’immagine ci parla con rara efficacia della sua missione di guidarci nella conoscenza della verità – e questa è la funzione di illuminare – e quindi della sua missione di vivere l’amore – e questa è la funzione di riscaldare.
Nell’episodio della Pentecoste, le due funzioni sono rese evidenti nei risultati della effusione dello Spirito sulla Chiesa nascente: gli apostoli sono trasformati, e quelle che erano persone impaurite e timide, insicure di quello che avrebbero dovuto fare, diventa un gruppo deciso e sicuro delle proprie scelte. Poco dopo Pietro parla ai Giudei, riunitisi nelle prossimità del cenacolo, perché richiamati dal fragore che avevano udito, e ad essi annuncia, senza nessuna timidezza, il fatto della risurrezione di Cristo, che essi avevano visto morto, e dà a tutti, in poche parole, il contenuto della fede nuova. Altrettanto evidente è l’entusiasmo con cui Pietro e i suoi confratelli annunciano il vangelo e, uno dopo l’altro, partono verso terre diverse, spinti dalla stessa passione missionaria. Il fuoco dello Spirito lavorava in loro, dando loro la luce della fede e la passione ardente della carità.
Detto questo, verrebbe la voglia di chiedersi: come è possibile rappresentare in maniera efficace questa Persona, che non ha un’immagine definita e viene identificato soltanto in maniera simbolica?
La pittura e la scultura ci danno un’indicazione molto evidente di quanto questa rappresentazione sia difficile. Scolpire il marmo in modo che possa raffigurare in maniera efficace la fiamma va al di là delle possibilità anche del più esperto degli scultori. Mi viene in mente solo un esempio, nella face rovesciata ma accesa dell’angelo della morte, rappresentato da Antonio Canova nel monumento funerario di Papa Clemente XIII, nella Basilica Vaticana. La fattura è raffinata ma sarebbe difficile identificare quell’elegante fascio di onde con una fiamma che arde. Con la pittura e la possibilità di usare il colore, il discorso cambia ma resta limitato, perché il fuoco è vivo e trasparente, con una vivacità e un movimento che lo identifica. Un’immagine ferma resta sempre parziale e il colore mutevole della fiamma può ingannare l’artista più esperto. Anche di fronte alla scena del roveto ardente nella nostra Cappella Tedesca, potremmo pensare: “Sì, non c’è dubbio, è una fiamma. Però …” Anche la bravura del Seitz non basta a rendere vivo il suo fuoco. Un’eccezione credo di averla vista in un particolare delle Stanze di Raffaello, nella scena della liberazione di Pietro dal carcere. Una fiaccola retta da un guardiano ha una trasparenza spettrale e sembra ardere davvero. Ma si sa che Raffaello è pur sempre Raffaello, e non ce ne sono stati tanti come lui.
Perché tutto questo discorso sul fuoco e sul modo di rappresentarlo? Il fatto è che mi viene da pensare che, mentre i mezzi visivi sono limitati dalla vivacità e dal costante movimento del fuoco, l’espressione musicale potrebbe avvicinarsi di più alla forza mutevole della fiamma. Forse la musica può riferirsi a questa manifestazione della natura in maniera più efficace e convincente di altre forme di rappresentazione. Forse la musica può interpretare, meglio ogni altro, la grande libertà del fuoco e quindi la suprema fantasia dello Spirito di Dio, che non può essere descritto proprio per l’impossibilità di restringerlo in categorie visive a noi comprensibili.
Ora, il maestro Grubba si prepara ad eseguire la sua improvvisazione sul tema che abbiamo indicato. Non so se sia possibile dare dei suggerimenti ad un artista, ma da parte mia mi vorrei permettere di darne uno. E prendo lo spunto da quello che raccontava un grande attore inglese, a me particolarmente caro, Alec Guinness, nelle sue memorie. Come giovane aspirante attore, fu affidato ad una grande attrice del teatro, Martita Hunt, che gli fece da insegnante. Dopo aver ascoltato la lettura di un testo in cui si parlava di cavalli, Martita gli disse: “Ma io non ho sentito i cavalli, non li ho visti: devi farmi vedere i cavalli”.
Al maestro Grubba, io ora dico lo stesso: in questa sua creazione improvvisa senta la forza del fuoco, che è una delle immagini più efficaci e significative dello Spirito Santo. E allora, ci faccia sentire il fuoco, ci faccia sperimentare la sua forza e la sua inarrestabile violenza di ispirazione.
Probabilmente una creazione artistica di questo tipo e di questo livello riuscirà a farci capire qualcosa dello Spirito Santo, molto di più di ogni lezione di teologia o di catechismo.
Io, per lo meno, lo spero e vi auguro quindi un buon ascolto.