Sesto concerto – Jean Paul Imbert
Loreto, 25 agosto 2012
Con il concerto di questa sera, concludiamo la settima stagione organistica, che abbiamo voluto dedicare alla nostra preparazione per la visita del Santo Padre Benedetto XVI qui a Loreto, con la finalità di ricordare il gesto profetico compiuto dal Beato Papa Giovanni XXIII, 50 anni or sono, prima dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.
La circostanza che fa svolgere il concerto oggi, in questo sabato 25 agosto, invece del normale martedì, è la celebrazione della memoria liturgica di San Luigi IX, re di Francia. La basilica di Loreto è legata a questo santo re, il quale, nel suo primo viaggio in Oriente, motivato dall’ideale della crociata per la liberazione della Terra Santa, visitò Nazareth, ed entrò nella Casa di Maria che era allora ancora nella cittadina della Galilea, prima di essere trasportata, come sappiamo, qui, sulle colline di Recanati. Per questa ragione, la cappella francese della Basilica, quella nella quale si svolge quotidianamente la solenne adorazione eucaristica, è dedicata proprio a San Luigi, ed ogni anno, in data odierna, si celebra una Messa in suo onore, con l’intenzione specifica di pregare per la Francia e per il benessere dei suoi cittadini. Per questa stessa ragione, il concerto di questa sera è sponsorizzato dai “Pieux établissements de la France à Rome et à Lorette”.
Il testo musicale dedicato allo Spirito Santo, che dovrà oggi ispirare l’improvvisazione del maestro Imbert, è un inno riportato nella liturgia delle ore, il giorno di Pentecoste. Il titolo, dal primo verso, è: “Iam Christus astra ascenderat – Già Cristo era asceso al cielo”. Nella liturgia in uso prima della riforma liturgica promossa dal Concilio Ecumenico Vaticano II, questo inno era più lungo e veniva usato nell’ora di Matutino, oggi chiamata Ufficio delle Letture. Nel nuovo breviario, il testo è stato corretto e accorciato, ed è usato come inno nell’ora media. L’autore è anonimo, ma lo si considera di scuola ambrosiana, risalente al 4° secolo. Le parole si rifanno alla narrazione degli Atti degli Apostoli, al capitolo 2°, nei versi da 1 a 16, e cioè all’episodio della discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli.
Prima di dire qualcosa sull’inno, mi permetto di interpretare le ragioni che hanno suggerito la recente correzione del testo, confrontando alcuni versi che ora non sono più usati. Parlando del fatto straordinario delle lodi a Dio pronunciate dagli Apostoli e comprese da gente di lingue diverse, il poeta scriveva:
“Judea tunc incredula, e cioè: “Allora la Giudea incredula
vesana torvo spiritu, resa insensata da torvo spirito
madere musto sobrios incolpa di essere pieni di mosto
Christi fideles increpat”. i sobri discepoli di Cristo”.
E nella strofa seguente:
“Sed editis miraculis e cioè: “Ma coi miracoli prodotti
occurrit et docet Petrus risponde e mostra Pietro
falsum profari perfidos che i perfidi affermano il falso,
Joele teste comprobans” come lo testimonia Gioele”.
Come sentite, non c’è niente di straordinario, ma alcune espressioni di disprezzo non suonano bene in testi liturgici, da usare per la preghiera, specie se si riferiscono in generale agli Ebrei, dei quali dobbiamo riconoscere, nelle parole di Giovanni Paolo II, che sono i nostri fratelli maggiori.
Quello che l’inno liturgico ci narra è quindi l’irruzione dello Spirito Santo nel Cenacolo. Lo Spirito è descritto come luce, come fuoco e come soffio, e quindi si racconta il miracolo delle lingue.
“Impleta gaudent viscera, e cioè: “Ricolmi gioiscono i cuori
afflata Sancto Spiritu, con il soffio dello Spirito Santo
vocesque diversas sonant, e risuonano voci diverse
fantur Dei magnalia. per dire le grandi opere di Dio.
Notique cunctis gentibus, E comprese da tutti i popoli,
Graecis, Latinis, Barbaris, Greci, Latini, Barbari,
simulque demirantibus a loro che insieme si meravigliano
linguis loquuntur omnium” parlano tutte le lingue”.
Qui c’è una licenza poetica, che rende l’episodio difficilmente comprensibile. Di fatto, il libro degli Atti non dice che gli Apostoli parlavano tutte le lingue, ma che gli ascoltatori comprendevano quello che dicevano, ognuno nella sua lingua. Il miracolo, insomma, non era nella bocca degli Apostoli, ma nelle orecchie dei presenti.
Questo riferimento alla possibilità di comprensione da parte di tutti dell’annuncio portato dagli Apostoli, mi offre l’opportunità di richiamare all’universalità del messaggio della bellezza, che, sia nella sua manifestazione visiva sia nelle manifestazioni musicali, va al di là dei limiti posti dalle lingue diverse, per attingere un linguaggio che è in se stesso universale, e quindi comprensibile da tutti. È un’esperienza che possiamo vivere tutti e che viviamo continuamente, per esempio all’interno di questa Basilica lauretana. Di fronte alla rappresentazione dell’annunciazione, scolpita dal Sansovino – e ne parlo proprio perché la state guardando tutti – non abbiamo bisogno di spiegazioni per capire cosa rappresenti, e neppure per capire e sentire, attraverso la nostra personalissima emozione, che si tratta di qualcosa di bello. Lo stesso vale per una composizione musicale, che, con la sua ricchezza di temi, ci faccia sperimentare qualcosa dell’armonia e della infinita ricchezza dei suoni della natura. I livelli di comprensione potranno essere diversi, a seconda delle diverse personalità e sensibilità, ma di fronte a qualcosa di bello tutti quanti restiamo ammirati.
In occasione dell’inaugurazione dell’organo di Ratisbona, della quale avevo già parlato la volta scorsa, il Papa Benedetto XVI ha usato l’organo come esempio efficace per una sorta di parabola, il cui insegnamento, chiaro come quello delle parabole evangeliche, richiama alla necessità di una vita di comunione, tra tutti coloro che condividono gli stessi ideali suggeriti dal messaggio di Gesù.
Diceva il Papa: “Il Salmo 150, che abbiamo appena ascoltato ed interiormente seguito,parla di trombe e flauti, di arpe e cetre, di cembali e timpani: tutti questi strumenti musicali sono chiamati a dare il loro contributo alla lode del Dio trinitario. In un organo, le numerose canne e i registri devono formare un’unità. Se qua o là qualcosa si blocca, se una canna è stonata, questo in un primo momento è percettibile forse soltanto da un orecchio esercitato. Ma se più canne non sono più ben intonate, allora si hanno delle stonature e la cosa comincia a divenire insopportabile. Anche le canne di quest’organo sono esposte a cambiamenti di temperatura e a fattori di affaticamento. È questa un’immagine della nostra comunità nella Chiesa. Come nell’organo una mano esperta deve sempre di nuovo riportare le disarmonie alla retta consonanza, così dobbiamo anche nella Chiesa, nella varietà dei doni e dei carismi, trovare mediante la comunione nella fede sempre di nuovo l’accordo nella lode di Dio e nell’amore fraterno. Quanto più, attraverso la Liturgia, ci lasciamo trasformare in Cristo, tanto più saremo capaci di trasformare anche il mondo, irradiando la bontà, la misericordia e l’amore per gli uomini di Cristo”.
Qualcuno potrebbe osservare che non necessariamente l’esperienza dell’ascolto di una musica ci parla di fede in Cristo Gesù, che qualcuno può non condividere, o persino rifiutare. Questo è vero. Ma per tutti, il contatto con la bellezza ispira il desiderio di vivere questa nostra vita nel perseguimento di ideali di bene. È certamente diverso se questi sono animati dalla fede in Dio, o se sono suggeriti dall’apprezzamento per la dignità di ogni persona che vive nel mondo. Ma il desiderio di vedere una società in cui la giustizia sia rispettata e la solidarietà sia vissuta nel concreto di ogni giorno, è qualcosa che tutti possiamo condividere e per cui dobbiamo impegnarci.
Anche per questo, l’esempio dell’organo ben accordato e perfettamente funzionante ci parla di un ideale di cooperazione e di fratellanza, nel quale tutti possiamo e dobbiamo trovarci uniti. E questo lo possiamo considerare come un messaggio finale per questa settima stagione organistica lauretana.
Ancora una volta, grazie per la vostra attenzione e buon ascolto.