In una busta di antichi ricordi, ho trovato sei fogli di quaderno – per la precisione “a quadretti” – con un testo del quale non ricordo né il tempo né la ragione di composizione. Probabilmente, risale al 1958 o 1959, quando ero Delegato degli Aspiranti nella parrocchia del Duomo. Si tratta di una narrazione di fantasia, con elementi però molto verosimili. Non ho corretto né lo stile né l’ortografia.
Era un gruppo composto da soli minori, dei ragazzi cioè che non avevano più di 12 anni e frequentavano l’ultima classe elementare o la prima media. Il gruppo era stato formato con un certo criterio, perché, dei sei componenti, quattro erano amicissimi: abitavano vicini l’uno all’altro e si conoscevano bene fin da piccoli. Gli ultimi due, però, non appartenevano a quella banda, dato che abitavano lontano e non conoscevano affatto i loro compagni di gruppo.
Come capo fu scelto Gianni, sul quale si poteva fare assegnamento, dato che aveva una intelligenza pronta e vivace ed inoltre, avendo partecipato al campeggio estivo, aveva una certa preparazione tecnica ed apostolica. Giuseppe, Paolo e Peppino erano i suoi inseparabili amiconi. Giuseppe, di famiglia benestante, era il classico figlio di papà, viziato e prepotente. Peppino era il bocia della compagnia, ma era pieno di iniziativa e di buona volontà. Paolo non aveva una particolare intelligenza, era piuttosto maleducato – il delinquente della compagnia – ma aveva uno spiccato senso dell’umorismo.
Gli altri due, Piero e Toni, non erano conosciuti dal capo se non di vista, dato che frequentavano l’uno la scuola di avviamento professionale, l’altro la scuola media, ma nel collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
Alla prima adunanza di gruppo fu deciso il nome da mettere al gruppo: Cavalieri. Gianni, che aveva 8 in italiano, e di belle frasi, quindi, se ne intendeva, propose come motto “Fino alle stelle”. Peppino abile disegnatore, propose lo stemma: un elmo di crociato, con celata e cimiero ed a fianco una stella a cinque punte. Per questa sua proposta Peppino si meritò, all’unanimità, la promozione a vice capo. Giuseppe, che non aveva fatto altro che dire di sì a tutte le proposte, fu eletto cassiere e segretario, perché la sola buona qualità in suo possesso, di essere cioè ricco, garantiva una certa stabilità e sicurezza al bilancio di gruppo. Paolo invece, che pure aveva attivamente discusso, data la sua fama di persona poco seria, non ebbe alcun compito. Alla riunione Toni era assente e Piero non prese mai la parola, né gli altri si curarono mai di interpellarlo. In mezzo agli altri si sentì estraneo, e gli altri lo consideravano tale. Il gruppo fin da allora era virtualmente ridotto a quattro.
All’inizio delle attività questo si poté già notare: ai concorsi volanti partecipavano solo i quattro primi. Il loro entusiasmo era alle stelle, ma il gruppo era ugualmente incompleto. Quando si trattò di costruire l’angolo di gruppo, Gianni e Peppino si misero all’opera con grande impegno: fecero da soli il progetto e da soli si misero all’opera. Paolo si faceva vedere solo di rado, e quelle poche volte non era neppure di grande aiuto: per la sua abitudine di portare in giro tutti e tutto, trovò presto ridicola la costruzione, e litigò quindi con gli autori offesi per gli apprezzamenti sardonici sulla loro creatura. E fu il primo di una lunga serie di litigi, che però lasciavano sempre il tempo che trovavano. Giuseppe non partecipò alla costruzione dell’angolo dato che, proprio nelle ore di lavoro, alimentava le sue scarse risorse con abbondanti lezioni di ripetizione in italiano e matematica, che prendeva regolarmente tutto l’anno. Però, pur nella sua materiale impossibilità di collaborare, Giuseppe contribuì con una generosa offerta di viti e chiodi. Per il legno Gianni e Peppino se la cavarono egregiamente: dalla soffitta di Peppino fu tratta una cassetta da imballaggio ed un asse abbastanza lungo; Gianni portò una vecchia cornice ed un pezzo di compensato; assieme chiesero ad un falegname dei pezzi di legno utili per i pieducci del mobile, e si procurarono un ripiano di tavole già fatto, prendendolo davanti ad un negozio dove serviva da stuoino. Una maniglia d’auto, procurata non si sa come da Paolo, completava l’opera. Il risultato, se esteticamente non era perfetto, era certo moralmente lusinghiero, e il delegato non mancò di lodare gli autori.
Toni e Piero si vedevano in sede sempre più di rado: ormai venivano solo alla messa sociale, e Gianni si guardò bene dal richiamarli. L’Assistente allora parlò con i due e col capo, individualmente: gli uni promisero una maggiore buona volontà, l’altro un migliore impegno apostolico. Per due settimane andò tutto bene, poi se creò lo stato precedenti di cose.
A proposito della messa sociale, bisogna notare che i Cavalieri erano tutti presenti all’infuori di Paolo, che doveva accompagnare i genitori alla messa di un quarto. Solo di rado non veniva Giuseppe, e sempre per essersi svegliato tardi.
I Cavalieri parteciparono anche ai concorsi volanti per il giornalino di gruppo e si fecero onore. Durante l’anno, cinque furono i giornalini richiesti ed altrettanti ne fecero i Cavalieri. Il primo aveva un tema molto semplice: la sede. La prima edizione di “Lancia in resta” (tale era il titolo del loro periodico) uscì in forma di giornale murale, puntualissimo con un mastodontico disegno, rappresentante la sede, al centro e vari articoli ai lati. Il dipinto, opera del bravo Peppino, era pieno di difetti, ma aveva un suo fascino: i muri erano storti, le finestre troppo grandi, i tavoli del ping-pong avevano una impossibile prospettiva ed al confronto le palette sembravano racchette da tennis… Ma tutto il complesso dava un senso di intimità e di affetto, del tutto commovente. Gianni in un “pezzo” serio ricordava l’evangelico cenacolo, quasi una primordiale sede di Azione Cattolica: il paragone era ardito ma senz’altro notevole. Paolo portò in causa il povero Delegato, prendendo lo spunto dal fatto che nella sede c’era anche lui, e ne fece una crudele satira; l’articolo divertì molto i ragazzi, anche se il delegato non riusciva a capire lo spirito di alcune battute… ermetiche. Giuseppe, che come ho detto in quanto a doti, non brillava di luce propria, diede alcune barzellette prese da un giornale che non avevano alcun nesso col tema, ma che furono ugualmente pubblicate dato che Giuseppe aveva comperato di tasca propria il foglio. Toni, richiesto di aiuto, promise un articolo sportivo, che però non apparve mai dato che la promessa rimase tale. I temi degli altri giornali furono il Natale, Carnevale, Pasqua e le vacanze. La realizzazione fu sempre curata soprattutto da Gianni, autore di quasi tutti gli articoli e da Peppino, disegnatore. Unica variante fu che nei numeri di Carnevale e Pasqua, il giornale non ebbe la forma di cartellone ma di rivista, composta da ben otto fogli, riempiti alla meno peggio da disegni, articoli, barzellette, racconti.
Nel numero di Pasqua non partecipò affatto Paolo, che aveva litigato con Giuseppe. In compenso però Toni fece il suo articolo sportivo, scrivendo la cronaca di una partita del campionato interno, con un certo brio che, se piacque moltissimo al Delegato, non fu apprezzato dai ragazzi che si dimostrarono indifferenti verso l’opera, cosa che non fece piacere all’autore, e lo allontano ancor più dai suoi compagni di gruppo.
La vita in comune dei Cavalieri si svolgeva non tanto in sede, quanto sulle mura, presso le quali abitavano i quattro amiconi. Sul Pincio e sui ruderi dei torrioni, sì raduna sempre un gran numero di ragazzi e tra questi Gianni, Paolo, Peppino ed anche Giuseppe formavano uno dei gruppetti più affiatati. Sulle mura giocavano a pallone, alla guerra, a guardie e ladri; sulle mura prendevano le più importanti decisioni che dovevano restare segrete; sulle mura nascevano i diabolici piani di attacco adottati dai nostri amici nelle grandi gite. Come si comportavano i quattro Aspiranti, in mezzo agli altri compagni? Il Delegato, sapendo che i ragazzi si rivelano soprattutto nel gioco, si recò sulle mura più di una volta; i ragazzi, nella foga del gioco non si accorsero neppure della sua presenza. Paolo era il più vivace, gridava forte ed adoperava spesso anche le mani; Giuseppe prometteva di “spaccare il muso” a tutti quelli che lo infastidivano; Gianni e Peppino erano vivacissimi nel giocare e nel gridare. Paolo si lasciò sfuggire una parola non troppo “ortodossa” e Peppino, con una sberla, lo richiamò all’ordine. Quando poi fu un altro ragazzo che parlò male, Gianni divenne rosso e, incoraggiato da uno sguardo di Peppino, disse solo: “Dai, non fare lo scemo”.
Gran parte dei ragazzi del Pincio non erano Aspiranti; gran parte conoscevano l’Associazione solo per sentito dire. Un giorno il Delegato parlò dell’apostolato: ricordò i grandi Apostoli, l’eroismo di padre Damiano, pose di fronte ai suoi Aspiranti la visione dello Stadio Olimpico gremito di gente… “di notte… tutto buio. L’arbitro entra in campo: tutti fissano a quel punto nero che si scorge appena. L’arbitro prende un cerino, lo accende: una piccola luce che tutti vedono. Allora uno dopo l’altro tutti prendono un cerino e tutti l’accendono. Sono centomila piccole luci che rischiarano a giorno lo stadio”. I ragazzi avevano compreso la lezione. Paolo, commosso, confidò al Delegato di avere la ferma intenzione di andare a fare il missionario tra i lebbrosi, come padre Damiano. Gianni, più concreto, apparve il giorno dopo in sede con un nuovo amico, Nino, uno di quelli del Pincio. Nino giocò, si divertì, uscì dalla sede entusiasta. Il giorno seguente tornò, ma Gianni non c’era: alcuni lo schernirono perché aveva una toppa nei calzoni e Giuseppe litigò con lui per avere la precedenza al tavolo del ping-pong. Da quel giorno Nino non si rivide più in sezione.
Una grande occasione del gruppo dei Cavalieri per farsi notare, fu la grande gita alla Villa Castracane: il gruppo, cosa straordinaria, al gran completo era incaricato di precedere il plotone in avanscoperta. Gianni, in testa al drappello, non sembrava più lui: con gelido occhio di stratega osservava il sentiero cercando di scoprire le tracce lasciate dagli avversari. Silenziosi lo seguivano gli altri cinque, compresi della gravità del compito affidato loro. All’imbocco della selva Peppino consigliò di sparpagliarsi per evitare imboscate. Giuseppe invece, che lo aveva visto in un film di indiani, propose una tattica diversa, complicatissima, che gli altri non capirono bene, ma che decisero di adottare. Entrarono tra gli alberi, uscirono dal sentiero e procedettero carponi in grande silenzio. In mezz’ora avevano fatto poco più di cento metri. Cosa accade poi non sono mai riuscito a capirlo, so solo che dei sei pionieri solo Toni si salvò scappando velocemente e chiedendo soccorso al grosso dell’esercito. La battaglia fu vinta dai nostri e, secondo la versione ufficiale, il gruppo dei Cavalieri si era volontariamente esposto all’ imboscata per poter far uscire il nemico dai nascondigli e permettere agli altri di sconfiggerli. Alla fine dell’eroica giornata il sei Cavalieri si sentirono più amici ancora e nelle seguenti attività si poté notare una maggiore attività da parte loro, anche dei due dispersi, Piero e Toni.
Intanto nel concorso il gruppo si faceva onore: il loro posto in classifica era più che lusinghiero ed era passibile di miglioramento. Per due settimane giunsero al terzo posto, poi al secondo, e di nuovo al terzo. Non c’era da lamentarsi, ma i Cavalieri decisero di fare di più: volevano essere i primi. Con grande impegno affrontarono le prove dei concorsi volanti e, anche se handicappati dal fatto di essere quasi sempre solo in quattro, riuscirono bene. Il concorso volante consiste in varie prove a cui si sottopongono i ragazzi: chi nel minor tempo (due ore al massimo) supera bene tutte le prove, vince il maggior punteggio, calcolato nel concorso finale. I Cavalieri furono addirittura temerari: non evitarono di correre da un capo all’altro della città alla ricerca di un fantomatico “Zagar”; non ebbero timore di affrontare le ire delle guardie, chiedendo loro impossibili informazioni; galopparono verso la campagna alla ricerca di margherite (era febbraio); invasero l’episcopio per sapere perché il Vescovo fosse divenuto Podestà di Fano nell’ultima guerra; entrarono di corsa in coro per chiedere al Prevosto i nomi dei suoi predecessori… Ma è impossibile ricordare tutte le loro spettacolose imprese.
A dicembre, per la settimana Vitt (si svolgeva durante le vacanze di Natale e aveva lo scopo di diffondere il settimanale “Il Vittorioso”), la sezione fu messa in subbuglio: pareti tappezzate di volantini e striscioni, intensa propaganda del Delegato il quale voleva che la settimana riuscisse a perfezione, preparazione del materiale occorrente per la vendita e la diffusione. I Cavalieri vendettero da soli quaranta Vittoriosi: in media 8 ciascuno, dato che Piero si fece vedere, ma per la sua timidezza non fece affari. Sparpagliati per la città il piccoli strilloni si mostrarono molto abili: Gianni sfruttò la sua parlantina per convincere i riottosi all’acquisto; Peppino per incrementare la vendita dichiarò che il tutto era a beneficenza dei poveri – per cui si rimediò una serie di improperi da parte del Capo che vedeva così lesa l’importanza apostolica del giornale – ; Paolo e Giuseppe, assieme, combinarono poco dato che l’uno con la sua monotona tiritera infastidiva i passanti, più che convincerli, e l’altro si vergognava di parlare. Anche Toni partecipò alla vendita e si dimostrò assai abile. Nonostante ciò, però, l’accoglienza che egli ebbe dagli altri quattro non fu troppo affettuosa; anzi, Gianni si abbandonò ad una serie di stupide recriminazioni che non serviranno ad avvicinare ancora Toni, ma ottennero un logico effetto contrario. Lo stesso fu per Piero. Gianni capì il suo errore, aiutato dal Delegato e su invito di questi si scusò o con i due: Toni dimentico tutto ed anzi divenne più amico del Capo, mentre Piero non si vide più in sezione per un lungo periodo.
A Carnevale, invece di un aumento di attività, avvenne una breve crisi perché, date le tradizionali manifestazioni cittadine, non fu possibile preparare nulla di particolare. Comunque il Delegato notò con piacere che, tra tutta la folla, Gianni, Paolo, Toni e Peppino erano tutti assieme ed assieme assistettero al corso mascherato, mentre Giuseppe rimase sul palco acquistato dai suoi a lanciare caramelle e cioccolate con dignità e degnazione quasi regali. A mezza quaresima il gruppetto si ritrovò unito per la giornata dei genitori: con grande pazienza il Delegato mise su uno spettacolino teatrale ed anche i Cavalieri, grazie a pressanti richieste, prepararono uno sketch. Peppino, particolarmente efficace come attore brillante fu l’interprete principale, Gianni fece da spalla, Paolo, abile caratterista fu il nonno e Giuseppe la nonna. Toni, che sognava di diventare attore di tragedia, fece la guardia. Piero, invece, sempre per colpa della sua timidezza, si limitò a distribuire i programmi all’entrata. I genitori, invitati al trattenimento ed a visitare la sede, si divertirono moltissimo, forse perché ai genitori piace tutto ciò che è fatto dai loro figli. Quindi ogni incidente passò in sottordine e nessuno si accorse degli sternuti di Paolo, provocati dai baffi posticci che gli pizzicavano il naso. Nessuno anche notò la papera di Gianni e l’impaccio in cui si trovava Giuseppe, non abituato agli abiti muliebri. Addirittura, invece, fu chiesto a gran voce il bis a Toni che recitò più volte con passione la sua unica battuta, realizzata in perfetto dialetto meridionale. In definitiva si trattò di una serata indimenticabile, specie per i ragazzi, entusiasti per il successo ottenuto. Piero, che si era lui pure divertito moltissimo, propose di farne uno alla settimana, ma la proposta fu, logicamente, scartata dal delegato.
A Pasqua il gruppo dei Cavalieri era presente alle cerimonie della Settimana Santa. Piero solamente mancava, e da allora si fece sempre più introvabile. Al Venerdì Santo i cinque amici fecero con gli altri la Via Crucis ed alla sera aiutarono il Parroco a tenere l’ordine in chiesa durante l’adorazione della Croce. Gianni e Paolo vennero anche alla messa di mezzanotte; Paolo, a dire il vero, al Sanctus era già talmente imbambolato da rendere puramente formale la sua presenza. Gianni invece segui la cerimonia sul messalino.
Dopo Pasqua iniziò il serrate finale per la scuola: tutti furono costretti a rallentare l’attività per dedicarsi allo studio. Peppino, che pure era bravo, dovette prepararsi all’esame d’ammissione, mentre Gianni cercò di riguadagnare il tempo perduto e di mettersi alla pari in matematica, suo punto debole. Paolo faceva acqua dappertutto, perché non aveva mai studiato. Toni invece fu costretto in collegio a studiare di più anche se in effetti, non ne aveva bisogno. Giuseppe abbandonò del tutto l’associazione, avendo moltiplicato ed intensificato le lezioni di ripetizione. Piero non si vide affatto. Lo incontrò un giorno il Delegato e seppe che la scuola andava piuttosto male ed a casa non erano contenti che egli uscisse. Per facilitare ai suoi ragazzi il duro compito, il Delegato ridusse ogni attività e rinunciò all’adunanza formativa settimanale: la sede rimase aperta solo per far giocare i ragazzi, ed il delegato supplì alla mancanza della istruzione con colloqui personali coi ragazzi.
Finalmente la scuola finì e in sede fu annunciata un’assemblea. Nella sala più grande, gremita di ragazzi, si fece la solenne premiazione, alla presenza del Parroco. L’Assistente e il Delegato dissero brevi parole e poi il Curato consegnò i premi. I nostri eroi, classificatisi secondi, non stavano più nella pelle. Non avevano grandi pensieri né dolori: difatti Gianni, Toni e Peppino erano stati promossi con ottimi voti, mentre Paolo e Giuseppe se l’erano cavata con una materia a settembre ciascuno, più di quanto potessero desiderare. Tutti e cinque fecero una colletta e, con 15 lire per uno, comprarono due etti e mezzo di biscotti, coi quali festeggiarono il trionfo. Piero non si fece vivo nemmeno allora: era partito per andare in campagna a riposarsi; difatti era stato rimandato in tre materie e presto avrebbe ricominciato lo studio.
Con quella piccola festa si concluse la vita del gruppo dei Cavalieri. I gruppi furono sciolti. La Grav (grande avventura) era finita. I cinque amici decisero di rivedersi ogni settimana sul Pincio. Al primo appuntamento c’erano tutti. Poi, man mano, furono sempre di meno. Giuseppe andò a Cortina con la famiglia, Gianni e Peppino partirono per il campeggio, mentre Paolo e Toni restarono al mare. Il Grest (gruppo estivo) era iniziato.