Nel 1985 fu necessario provvedere alla nomina di un nuovo vescovo. Il processo fu svolto, come sempre, con molta attenzione e, quando fu completato, la proposta del Nunzio Apostolico fu inviata a Roma. A suo tempo, da Roma giunse la risposta, che comunicava che il Papa aveva nominato vescovo il primo dei tre candidati proposti, al quale si doveva chiedere il consenso.
Quando giunse il telegramma dalla Segreteria di Stato, il Nunzio era assente e dovetti quindi chiamare il sacerdote eletto, perché venisse a Belgrado per un colloquio. Non sarebbe stato possibile presentare la richiesta per telefono, perché sapevamo che le nostre conversazioni erano sempre controllate dalla polizia comunista.
Il bravo prete venne puntualmente e, dopo quale battuta introduttiva, gli comunicai la sua nomina all’episcopato. La risposta fu immediatamente negativa. Provai ad insistere, facendo capire l’importanza della decisione, la fiducia mostrata in lui dal Papa, la necessità di accettare il nuovo onere per il bene della Chiesa. Tutto fu inutile: il suo “no” rimase tale, senza altre spiegazioni.
Come ultima risorsa, gli dissi che l’avrei chiamato di nuovo una volta che il Nunzio fosse tornato in sede. Lo lasciai andare, con alcune fraterne raccomandazioni.
Al suo ritorno a Belgrado, il Nunzio fu informato della situazione, ma mi disse senza mezzi termini che non ero stato capace di condurre l’operazione nel modo giusto: “Vedrai che quando ci parlerò io accetterà”.
Il candidato tornò ed ebbe un lungo colloquio con il Nunzio, ma rimase fermo nella sua decisione. Il Nunzio fu sorpreso della sua resistenza a tutti i suoi tentativi. A quanto mi disse, era la prima volta che gli accadeva qualcosa del genere.
Da parte mia, anche se questo voleva dire che avrei dovuto lavorare ancora sulla provvista, ero contento del risultato, perché aveva dimostrato che non ero poi così incapace come il Nunzio aveva pensato che fossi.