Nella villa estiva di Roccantica, in Sabina, i seminaristi del Seminario Romano trascorrevano un paio di mesi, più o meno dalla fine di agosto fino al rientro a Roma per l’inizio dell’anno accademico, verso la seconda metà di ottobre. L’orario era piuttosto libero e c’era tempo per fare tante cose, da attività sportive ad operazioni creative, in preparazione delle feste mariane serali.
Una tradizione sempre rispettata era quella degli stornelli, brevi canzoncine di stile romanesco, con i quali, durante il pranzo e la cena, si poteva ironizzare su qualcuno o su qualcosa. In questa forma d’arte, mi sperimentai qualche volta con un discreto successo, ma una occasione speciale mi diede gloria e guai allo stesso tempo.
Il ritiro mensile si svolgeva nell’intero pomeriggio del sabato e si concludeva la domenica mattina, con la celebrazione della Messa solenne. Nel corso di una delle meditazioni, il Direttore Spirituale, Mons. Daniele Ferrari, ci aveva spiegato, non ricordo in quale contesto, che non era bene che le nostre feste liturgiche si indentificassero con delle grandi mangiate: concentriamoci più sul significato spirituale del mistero contemplato e, quanto a mangiare meglio, lo si può fare in qualsiasi altro giorno.
In quel periodo era ospite a Roccantica Mons. Lannutti, anziano sacerdote, Ordinario Palatino, il che vuol dire che era assistente spirituale al Quirinale. La domenica fu lui a presiedere la celebrazione eucaristica e per pranzo ci offrì una torta. La tentazione era troppo forte e io non resistetti. Lo stornello uscì spontaneamente: “Fioretti strani, il dolce oggi noi non lo vogliamo, lo mangeremo sol nei dì feriali”.
La reazione fu tremenda: applausi e risate a non finire da parte dei seminaristi, Mons. Ferrari rosso come un pomodoro a coprire la faccia, gli altri superiori e l’ospite a chiedersi cosa fosse successo, dato che non avevano seguito il ritiro e quindi non potevano capire il senso dello stornello.
In seguito, fui delicatamente invitato ad andare a scusarmi con il Direttore Spirituale, il quale non fu particolarmente severo, ma mi fece capire che, se si facevano scherzi sulle prediche, i risultati potevano essere poco confortanti.
Ci fu un seguito. Tornando a Roma, il primo atto in Seminario era il circolo del Rettore, che avrebbe indicato i nuovi incarichi a prefetti e vice prefetti dei diversi gruppi interni, allora chiamati “camerate”. Poi Mons. Pascoli aggiunse una considerazione, premettendo che non aveva importanza chi fosse stato il responsabile, del quale lui neppure si ricordava, ma avvertendo che non era bene fare scherzi o stornelli sui contenuti delle riflessioni del Direttore Spirituale. Mentre in silenzio ci allontanavamo per raggiungere le rispettive camere, mi si avvicinò Salvatore Boccaccio, di quattro anni più anziano, e mi disse: “A vedere da come tutti ti guardavano, si direbbe che il Rettore sia l’unico ad aver dimenticato chi è stato!”