In Camerun, i serpenti erano una presenza quotidiana. Era raro uscire in auto la sera, senza che qualche serpente attraversasse la strada, rischiando di restare schiacciato; anche nel giardino della Nunziatura se ne vedevano, e, quando il Nunzio ed io andavamo fuori per fare una passeggiata, portavamo sempre un bastone, per scuotere l’erba davanti ai nostri passi. Spesso sentivamo il fruscio del serpente che scappava spaventato. Una volta, il giardiniere ne trovò uno dentro l’armadietto in cui teneva gli attrezzi, ma fu svelto a ucciderlo con un colpo di machete – che in Camerun chiamavano “coupe-coupe (taglia-taglia)”.
C’erano serpenti di tanti tipi, ma tutti erano velenosi: quelli grossi e lunghi e quelli minuscoli, quelli che facevano morire in un minuto e quelli che ci impiegavano mezz’ora di atroci sofferenze, quelli che sputavano veleno negli occhi, e quelli che attaccavano dagli alberi. Sul bollettino della ACAP (Agence Camerounaise de Presse) non era raro leggere la notizia di qualcuno che era morto “per il morso di un serpente”.
Una sera il P. Gianni, missionario “fidei donum” di Lodi, che lavorava in diocesi di Sangmelima, venne in Nunziatura. Mi aveva avvertito che, insieme con Fausta, la sua collaboratrice, doveva andare all’aeroporto per accogliere due persone, un sacerdote e una volontaria, che avrebbero lavorato con lui. Li avevo invitati a venire a cenare con me, dato che ero solo. Durante la cena, i due appena arrivati si mostrarono stupiti nel sentire i rumori che provenivano dalla densa vegetazione attorno alla Nunziatura. Parlammo loro dei tanti animali che si muovevano di notte nella foresta e che lanciavano i loro richiami.
Quello che però li incuriosiva più di tutto era di sapere se c’erano serpenti, e si mostrarono molto spaventati a sentir dire che effettivamente ce n’erano. “Cosa si fa quando li incontri?” “Lui scappa da una parte e tu scappi dall’altra!” Naturalmente, Gianni e Fausta avevano tante più storie da raccontare in proposito.
Quando accompagnai gli ospiti alla porta, vidi che il nostro cagnolino, César, appariva nervoso. E ne capii subito la ragione, vedendo una grossa serpe marrone scuro che strisciava lungo la parete della casa, a pochi passi da noi. Invitai tutti a rientrare e poi mostrai loro il serpente. Gianni mi chiese subito un bastone, mentre le due ragazze, con una reazione strana e pericolosa, corsero a chiudersi dentro macchina, passando così davanti al serpente, che, messo in allarme dal movimento, si era acciambellato ed era in posizione d’attacco.
Con un bastone ciascuno, Gianni ed io gli andammo addosso, ricevette un colpo ma fu svelto a scappare dentro un cespuglio e, nel buio, non lo vedemmo più.
Il giorno dopo ne parlai al giardiniere che mi confermò di averlo visto qualche giorno prima: “È cattivo”. Gli dissi di guardare se fosse rimasto da qualche parte del giardino, ma su di lui non ebbi più nessuna notizia.