Credo che, in questo caso, dovrò essere generico, perché i fatti da esporre sono stati molto pericolosi, e solo per una forte mano della Provvidenza non mi sono trovato in situazioni di estrema gravità.
Cominciamo dal primo, per il quale posso dare anche la data precisa: 10 febbraio 1978. E il luogo esatto: casello autostradale di Roma Nord.
Insieme con un amico, approfittando di due giorni di vacanza, andavo a Firenze, in un’auto avuta in prestito. Per risparmiare, avevo fatto il pieno in Vaticano e, per buona misura, avevo riempito di benzina una tanica, per essere sicuro di averne anche per il ritorno. La tanica era nel bagagliaio, ben legata, in modo che nulla si potesse versare.
In quei mesi, la situazione in Italia era tesa, per le attività terroristiche delle Brigate Rosse. Arrivando a Roma Nord, notai una postazione di soldati, nascosti dietro a una barriera di sacchetti di sabbia. Un militare ci fece fermare, chiese i documenti e mi fece aprire il bagagliaio. In quel momento mi resi conto del rischio che correvo, avendo con me una tanica di benzina.
Il soldato guardò e, indicando il recipiente, mi disse: “È vino, vero?” Pigolai un “sì” che uscì appena dalla gola. Mi fece richiudere e mi lasciò andare. Partii a tutta velocità, e dovetti spiegare a chi era con me: “Ho detto una bugia!” Mi ci volle il tempo intero del viaggio, per valutare cosa avrebbe potuto succedere se il soldato avesse capito che quello non era vino, o se io, fedele all’impegno di non mentire, fossi stato sincero e gli avessi confessato che invece era benzina.
Il secondo episodio l’ho vissuto da solo. Sempre con la voglia di risparmiare, in vista di un viaggio, quando era ormai notte, stavo preparando la solita riserva di combustibile. Mentre la tanica si riempiva, qualcuno mi chiamò al telefono e andai a rispondere. Al termine della conversazione, mi accorsi che la tanica era piena e la benzina era fuoriuscita, bagnando abbondantemente il cortile in cui erano parcheggiate altre auto. La reazione fu immediata: con un secchio presi l’acqua dalla fontana al centro del cortile e la versai in abbondanza sulla benzina. Ripetei l’operazione tante volte, in modo che non restasse traccia visibile del carburante e non se ne sentisse neppure l’odore.
Tutto andò bene, perché, a quanto pare, nessuno il giorno dopo si rese conto di nulla. Ma io vissi per mesi con l’incubo di un fiammifero casualmente gettato a terra e delle macchine parcheggiate che, una dopo l’altra, saltavano in aria, a causa dell’incendio di cui ero responsabile.
Non credo sia necessario dire che, dopo di allora, la stagione dei travasi di benzina si era definitivamente conclusa.