8 settembre 2015
Cari Fratelli e Sorelle, cari amici,
Ancora una volta, la Provvidenza ci offre la possibilità di celebrare la festa della nostra città di Loreto, nel ricordo della nascita di Maria, la Madre di Dio e Madre nostra, che ha voluto che su queste colline, della benedetta terra marchigiana, fosse conservata la sua Casa, trasportata da Nazaret qui, per volontà divina.
Le letture della Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci consegnano alcuni insegnamenti, che è nostro dovere ascoltare, capire e quindi vivere, perché la partecipazione alla liturgia sia qualcosa di vero e diventi parte del nostro cammino di fede. In questo, non possiamo mai accontentarci di quello che abbiamo già ascoltato e capito in precedenza: se io sono vivo, l’incontro con la Parola viva di Dio deve darmi la spinta per nuovi gesti di conversione.
Innanzitutto abbiamo ascoltato il profeta Michea. Egli guarda con stupore a Betlemme, piccola città della Giudea, che il progetto di Dio ha voluto fosse il punto d’inizio della nuova dinastia della salvezza: è lì che è nato Davide ed è lì che è nato Gesù. L’inizio del Vangelo di Matteo rende esplicita questa affermazione: nel piano di Dio, non è più la famiglia di Davide e dei suoi successori a farsi carico della guida del popolo, ma Gesù, figlio di Maria. A lui Giuseppe ha attribuito la discendenza davidica, ma egli è direttamente generato da Dio, per opera dello Spirito Santo.
Potremmo parafrasare le parole del profeta, e applicarle oggi a noi: “E tu, Loreto, piccola città delle Marche, tu sei diventata una meta per tanti, che in te cercano conforto e consolazione, in te trovano l’incontro con Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, attraverso la mediazione materna di Maria”.
Questa vocazione sacra della nostra città deve farci riflettere. È un onore, per noi, vivere a Loreto, ed è nello stesso tempo una responsabilità. Chi viene in questa città, che è nata e che vive del santuario, deve poter vedere nel comportamento di noi cittadini un riflesso della santità del luogo: qualcosa della bontà, della gentilezza, dello spirito di accoglienza, della generosità, della disponibilità che sappiamo essere caratteristiche della Santa Famiglia e di ciascuno dei suoi membri, Gesù, Maria e Giuseppe.
Il pellegrinaggio a Loreto non si può esaurire nella visita più o meno attenta e devota della Santa Casa. Qui tutto, all’interno del Santuario e fuori di esso, deve far sperimentare quel dono di grazia che emana dalle tre sante pareti. Siamo chiamati a riflettere sul significato che ha la presenza di Maria nella vita terrena di Gesù e quindi nella vita e nella missione della Chiesa. Questa meditazione viene vissuta e approfondita nella contemplazione delle opere d’arte contenute nella Basilica e nel Museo, e poi nell’esplorazione dei monumenti grandi e piccoli, che costellano ogni angolo della città, e anche nella scoperta di quei luoghi caratteristici, tutti orientati all’accoglienza e al conforto dei pellegrini.
Ma la lezione della Parola di Dio non si esaurisce in una esortazione rivolta direttamente a noi loretani. Il Vangelo descrive il progresso della storia umana, attraverso le grandezze e le meschinità di tanti personaggi. Nella genealogia di Gesù, abbiamo sentito molti nomi, di gente buona e di gente cattiva, e di gente per noi del tutto sconosciuta. Abbiamo sentito il nome di Davide, il grande re, santo a modo suo, ma santo; e abbiamo sentito anche il nome di Manasse, il peggiore in assoluto tra i re di Israele, che, per grande ironia, è stato quello che ha regnato più a lungo. In ogni modo, con il contributo positivo e negativo di uomini e donne, il piano di Dio si compie e diventa quella realtà, vissuta nel cammino dell’umanità, che conosciamo come “storia della salvezza”. A questa storia, Maria Santissima, con suo “sì” pronunciato proprio in questa sua casa, ha dato un inizio nuovo. Di questa storia anche noi siamo parte, non come spettatori ma come attori, e ciascuno di noi porta la sua porzione di responsabilità e di impegno, a seconda della sua funzione e dei suoi compiti.
Noi, come figli di Dio e della Chiesa, dobbiamo continuamente chiederci: “Cosa posso e devo fare perché il Vangelo sia conosciuto e vissuto in questo nostro mondo? Cosa posso e devo fare perché la nostra società diventi meno corrotta, meno egoista, meno volgare? Cosa posso e devo fare perché quelli che portano la responsabilità del bene comune si convertano e diventino coerenti con la missione che è stata loro affidata?”
Troppo spesso, noi, uomini e donne di oggi, ci comportiamo come se, prima di questo nostro tempo, non fosse successo nulla; come se tutto fosse nuovo e vissuto per la prima volta. Si direbbe che, in questo nostro mondo, in ogni occasione in cui ci sono situazioni di urgenza, la gente perda del tutto la nozione di quello che la storia ci ha insegnato e delle esperienze che abbiamo già vissuto, anche pochi anni addietro. È mai possibile che ci vogliano sempre delle immagini di vittime innocenti, per farci capire la tragedia che sta compiendosi attorno a noi? È mai possibile che nessuno si ricordi che anche noi italiani da sempre per vocazione, e anche, anni addietro, per urgente necessità, siamo stati un popolo di “trasmigratori”? È mai possibile che nessuno ricordi quello che è accaduto nel 1956, quando gli ungheresi, in fuga di fronte ai carri armati sovietici, sono stati accolti nei paesi dell’Europa libera, mentre ora gli stessi ungheresi alzano barriere di filo spinato per tenere lontani gli altri disperati, anch’essi in fuga di fronte ad altri oppressori, non meno spietati di quelli di allora? È mai possibile che ci siano ancora quelli che immaginano che questi disperati vengono da noi perché vogliono rubarci il nostro benessere? Se fosse possibile resterebbero ben volentieri a casa loro, tra i loro, nel loro modo di vita, forse più semplice e povero, ma certamente più umano del nostro.
E allora, prendiamo l’esempio di Giuseppe, che viene definito con una sola parola: “giusto”. Perché giusto, Giuseppe ha ascoltato l’invito del Signore ed ha assunto le sue responsabilità, superando l’ostacolo posto non dalla paura ma dalla sua umiltà, che gli aveva fatto credere di non poter avere parte in un progetto che egli vedevo troppo alto per lui. Giuseppe, uomo giusto, ha permesso che si adempisse il piano di Dio.
Guardiamo avanti con speranza. Come allora, sentiamoci chiamati a vivere come persone giuste, e quindi disposte a dare il nostro contributo per un progetto di amore, di giustizia, di solidarietà, di correttezza, di onestà, che possa cambiare la nostra società e trasformarla in una realtà meno attaccata al denaro, meno chiusa in se stessa e quindi più umana.
In questa nostra missione, Maria ci accompagna prendendoci per mano e guidando i nostri passi per seguire l’esempio di suo Figlio, il Signore Gesù, salvatore e redentore dell’umanità intera.