Maris Stella, 10 giugno 2010
Pensate a quante volte abbiamo visto l’immagine del buon pastore che porta sulle spalle la pecorella che ha ritrovato. Adesso, che di pastori veri se ne vedono pochi, possiamo fare ricorso quasi solo alle immagini, però questa è una rappresentazione così familiare che tutti, ma dico tutti, sappiamo di che cosa si tratta. Vediamo allora quello che c’è di importante in questa scena, che Gesù descrive per noi con così poche parole, con tanta semplicità ma, insieme, con tanta efficacia.
Nella parabola, quello che agisce è il pastore. Non sappiamo perché la pecora si è persa. Forse ha smarrito la strada perché si è distratta, forse non era riuscita a star dietro alle altre per stanchezza, o forse voleva fuggire per liberarsi dalla compagnia delle altre pecore e dal dominio del pastore. Comunque sia, quello che si muove è il pastore: è lui che si mette alla ricerca. Poi è il pastore che trova la pecorella e la mette sulle spalle per portarla a casa senza farla stancare o soffrire. Poi ancora è il pastore che è contento di averla ritrovata e che chiama i suoi amici perché anch’essi vivano con lui questo momento di gioia.
Gesù conclude: così sono le cose in cielo. E allora capisco che si parla di me e di Dio. Quella pecora che si è allontanata sono io, che mi sono allontanato da Dio. Mi sono allontanato per le ragioni più diverse, ma con lo stesso risultato, di trovarmi solo, ferito e incapace di trovare la strada del ritorno. Ma Dio non rimane fermo ad aspettare che sia io a tornare indietro: è lui che si muove, che esce e viene a cercarmi. Quando mi trova, non mi rimprovera per tutto il tempo che gli ho fatto perdere e per la fatica che gli ho fatto fare, e neppure mi fa notare come mi sono ridotto male. Non mi dice nemmeno: ti ho aspettato tanto! Quello che mi fa capire è molto di più, molto più bello: sono contento perché ti ho ritrovato, e sono tanto contento che voglio che tutti prendano parte alla mia gioia. Pensate: nella parabola non si dice nulla della gioia della pecora ritrovata, ma si parla della gioia del pastore, che è quello che ha sofferto e faticato.
Oggi celebriamo la solennità del Sacro Cuore di Gesù, e la Chiesa vuole che pensiamo proprio a questo: il cuore è il simbolo dell’amore del Signore per noi, un amore che ci raggiunge per primo, che ci insegue quando ci allontaniamo, che ci accoglie di nuovo senza farci pesare la nostra colpa. È un amore che si rallegra per la mia conversione. Quel cuore che Gesù mi mostra è il segno più efficace dell’infinito amore con cui Gesù mi ama, al punto di dare la sua vita per me e di lasciare che il suo cuore sia squarciato con un colpo di lancia.
Viviamo questa festa nella gioia del ritrovamento, e ripetiamoci: in questo sta l’amore, non che io mi sono messo a cercare Gesù e alla fine l’ho trovato, ma che lui per primo mi ha amato, mi ha cercato e mi ha ritrovato, per abbracciarmi come un figlio prediletto. La nostra preghiera, l’Eucaristia che stiamo celebrando è un grazie offerto al Signore per questo suo amore infinito, che mi abbraccia e mi conquista.