Arrivato a Yaoundé, per la prima missione come segretario di Nunziatura, avevo preso contatto con la parrocchia di Mvog Mbi, dove già si recava regolarmente il mio predecessore, Pietro Sambi. Il parroco, un missionario sacramentino, era il P. Ignazio Waltingojer, sud tirolese, fiero di essere italiano ma con una parlata decisamente italo-tedesca.
Con la buona volontà dei neofiti, mi misi subito a dare una mano, il sabato e la domenica mattina, per battesimi, confessioni e celebrazioni eucaristiche. Fui ben presto colpito dalla ricchezza dei canti liturgici in lingua ewondό, che il coro della parrocchia eseguiva con grande impegno. L’entusiasmo, accompagnato da una buona dose di ingenuità, mi portò a promettere che, per la notte di Natale, avrei cantato la Messa in ewondό, e cominciai a prepararmi per riuscirci. Intonare i canti non sarebbe stato difficile, mentre leggere le preghiere era un vero problema: l’ewondó è una lingua tonale, in cui gli alti e bassi di tono danno alle parole significati diversi. E in questi dettagli, che dettagli non sono affatto, mi persi completamente. La festa di Natale si avvicinava e, dai risultati fino ad allora ottenuti, dovetti capire in anticipo che l’esibizione sarebbe stata un disastro.
La notte di Natale, con il cambio di stagione, che passava dalle grandi piogge al periodo di siccità, faceva relativamente freddo. Con il nervosismo che avevo addosso, mi sentii in disagio e lo dissi a P. Ignazio: avevo freddo e paura. Mi suggerì subito la soluzione per ambedue i problemi: “Schnapps”. Gli dissi che non sapevo cosa fosse, ma non ottenni spiegazioni. Mi presentò un bicchiere colmo di un liquido trasparente come acqua e mi ordinò: “Beva!” Lo feci, e solo a metà strada mi accorsi che “schnapps” vuol dire “grappa” e che io, che normalmente non bevo alcolici, ne avevo bevuto una quantità decisamente eccessiva.
Entrammo in processione nella chiesa stracolma di gente. Il calore provocato dai tanti presenti aumentò l’effetto della grappa. Nel fare la profonda riverenza di fronte all’altare persi l’equilibrio e mi ritrovai in braccio al capo dei chierichetti, fortunatamente grande e robusto. Con difficoltà procedetti all’incensazione e poi dissi a P. Ignazio: “Mi aiuti: sono ubriaco!” Ancora una volta mi assicurò che non c’era da avere paura. Fece venire un bicchierone di acqua gassata, che bevvi restando nascosto dietro al messale, retto apposta da un chierichetto.
Il rimedio ebbe qualche effetto positivo. L’intonazione del “Gloria” fu un successo, al punto che ancora oggi ne ricordo parole e melodia. La gente ne fu felice, e per questo non commentò il resto della celebrazione, condotta in un linguaggio che, probabilmente, neppure Nostro Signore poté capire.