Per completare gli studi di diritto canonico, dovevo presentare una tesi di laurea. Non volendo fare nulla che avesse a che fare con il diritto, per il quale non sentivo nessuna simpatia, con l’approvazione del Professore Mons. Pietro Pavan, avevo scelto un tema che si riferiva all’insegnamento sociale dei vescovi brasiliani. Il titolo sarebbe stato: “La dottrina sociale della Chiesa nel magistero dei vescovi del Brasile”.
Questo mi diede l’occasione di andare in Brasile per raccogliere materiale utile per la stesura, ma soprattutto per trascorrere qualche tempo con mio fratello, che, dal 1965, vi svolgeva la sua missione come missionario “fidei donum”.
Durante la mia permanenza, dal 22 agosto al 31 ottobre 1970, abitavo con gli altri sacerdoti nella casa parrocchiale, nel quartiere “Alto do Perù” della città di Salvador. Accompagnavo poi spesso Paolo nelle sue visite nel settore della parrocchia che gli era affidato, Fazenda Grande.
Per il pranzo, andavamo insieme presso famiglie, che, seguendo un calendario stabilito, preparavano il pranzo per il “vigario” e ora anche per suo fratello. Non erano pasti particolarmente allettanti: mensa di poveri, in cui l’unica cosa preziosa era la cordialità dell’accoglienza.
Un giorno però Paolo mi annunciò che avremmo mangiato bene. Si andava presso la famiglia Magalhães, in cui la madre di casa era famosa per la qualità della sua cucina. Arrivando, mi informai su cosa potevamo aspettarci. Mi dissero: “Feijão e arroz”, che io, ancora alle prime armi con il portoghese, interpretai come “Fagiano arrosto”.
Prendendo quello che era già sulla tavola, mi servii con un po’ di insalata, del riso, la farina di manioca, i fagioli e lasciai sufficiente spazio, in attesa del piatto forte. Visto che non succedeva niente, chiesi a bassa voce a Paolo quando sarebbe arrivato il fagiano. Lui cascò dalle nuvole e mi spiegò quello le parole ascoltate volevano dire: fagioli e riso. Che quindi erano già stati serviti ed erano a mia completa disposizione.