Verso la fine del mese di maggio del 2005, mi sono fermato per tre giorni a Fano, per un breve impegno. Tra le poche cose che ho potuto fare, quella che anche allora avevo considerato la più importante è stato un incontro con Don Mario. Sono andato a trovarlo in parrocchia, abbiamo parlato a lungo di tante cose e gli ho chiesto di ricevere la mia confessione. Mi ha fatto sentire bene. Ci siamo lasciati con la promessa di vederci ancora ad agosto, quando contavo di tornare per le vacanze. Invece è stata l’ultima volta.
Avevo conosciuto Don Mario Gargamelli nell’estate del 1958, quando lui era un giovane sacerdote e io un ragazzetto alle prime armi come dirigente, nel campeggio diocesano degli Aspiranti della GIAC a Mazzin di Fassa. Quello che ricordo di allora sono le sue meditazioni del mattino, date prima della messa, che celebrava per noi nella chiesetta del paese. Era sempre molto semplice, sobrio nell’esposizione, chiaro nelle idee. Andava diritto al punto e lasciava il segno, guardandoci con quegli occhi grigio-azzurri, che sembravano entrare dentro. E poi, un’altra cosa: era amichevole, senza essere amicone; insieme con noi, ma con qualche distanza, che non frenava la confidenza ma incoraggiava il rispetto. Rispondeva forse in questo ad uno stile dei sacerdoti di quel tempo, ma mi sembra che anche in seguito sia stato così.
Qualche anno dopo, nell’estate del ’60, eravamo di nuovo insieme in Val di Fassa, ma questa volta ad Alba di Canazei. Era un campo di giovani, di cui ancora una volta lui era l’assistente. Io ero invece una specie di ospite, e mi riposavo dopo l’esame di maturità ed un disastroso campeggio appenninico, e aspettavo che i miei genitori fossero informati da altri della mia decisione di entrare in seminario. Dovetti di nuovo notare l’efficacia della predicazione di Don Mario, e anche la sua fermezza in certi momenti difficili. Ricordo una sua sacrosanta strillata una sera, che le cose sembravano uscire di controllo. Tutto fu ricondotto all’ordine, e, scherzando, si cominciò a cantare la strofetta: “Alba di Canazei è un gran serraglio, la bestia più feroce l’è il Don Mario”. Ma ricordo anche un suo intervento personale, da vero maestro di spirito, per rimediare con tanta carità ai guasti che avevo fatto io, sparando dei giudizi ingiusti e superficiali su uno dei partecipanti.
Dopo di allora, le occasioni di incontro furono determinate dai diversi cammini in cui ci siamo trovati, nel servizio della Chiesa. Lui, sempre fedele e bravo, a fondare la nuova parrocchia di San Pio X e ad accompagnarla fino alla piena maturità, quasi identificandosi con essa. E io in giro per il mondo, in panorami sempre diversi. Se guardo il mio registro delle Messe, trovo le tante volte in cui Don Mario mi ha invitato a celebrare a San Pio X, a partire dalla prima, a una settimana dalla mia ordinazione sacerdotale, il 27 marzo 1966. E poi, dopo l’ordinazione episcopale, il 21 gennaio 1990. Ma, in fondo, quell’ultima conversazione sarà quella che resterà per sempre nella mia memoria e nel mio cuore.
L’avevo visto da lontano il giorno prima, mentre andava verso San Pio X in bicicletta, ed avevo deciso di andarlo a trovare. Abbiamo parlato a lungo, delle rispettive esperienze e della salute, un tema che diventa sempre più presente col passare degli anni. Mi diceva di sé, anche se le cose non andavano bene, senza lamenti e quasi con un pudore restio a rivelare la sua situazione. Mi ascoltò in confessione con semplicità, e mi diede buoni consigli, nati dalla sua lunga esperienza, dalla sua personale rettitudine e certo anche dalla sua sofferenza. Alla fine era contento anche lui, e me lo disse. Io lo ero al di là di ogni immaginazione. Gli promisi di rivederlo ad agosto, anticipando già la gioia di un nuovo incontro, una nuova conversazione e un altro grande momento di grazia.
Il Signore ha disposto diversamente, e Don Mario se ne è andato, con la discrezione che gli era tipica. Quanto ho saputo della sua morte, ho subito pensato con tristezza all’incontro promesso e purtroppo mancato. Come succede poi sempre, lo sguardo di fede ha dato un orientamento diverso alla riflessione. Anche se sento il rammarico umano per la sua perdita, devo capire che il progetto di Dio è più grande, e in quel progetto Don Mario aveva completato la sua missione ed era ormai maturo per la vita vera. A me e a tanti altri, ha lasciato l’eredità del suo amore e della sua saggezza. Sarà ora nostra responsabilità tenerne conto e trarne frutto.