27 febbraio 2012
Cari fratelli e sorelle, cari amici,
In questo breve estratto dalla lettera ai Romani, San Paolo descrive l’opera di Dio, che ci chiama a sé. Egli vuole che noi somigliamo a Gesù, per essere, insieme con lui, suoi figli, al punto di poter chiamare Cristo nostro fratello. Per questo, Dio nostro Padre ci segue con il suo amore: ci conosce da sempre, ci vuole suoi figli, ci chiama, ci salva e, infine, ci riceve nella sua gloria.
Queste parole ci mostrano il crescendo dell’amore di Dio, e noi oggi vediamo l’esempio che ci ha lasciato il giovane santo che ricordiamo: Francesco, che, nella vita religiosa, ha voluto essere chiamato Gabriele e ha scelto di dedicarsi tutto a Maria la Madre di Gesù, contemplata come l’Addolorata, ai piedi della croce del Figlio.
Fin dall’inizio Gabriele, ancora Francesco, è stato conosciuto da Dio, che ne ha apprezzato la vivacità sincera e la serena correttezza di vita. Un ragazzo allegro, spigliato, di buona compagnia, elegante e un tantino vanitoso, bravo ballerino … ma serio nell’apprezzare i valori importanti della vita. Ne seppe qualcosa quell’amico che, volendo invitare Francesco a qualche comportamento volgare e disonesto, si è visto minacciare addirittura con un coltello. Allegro sì, ma con una percezione ben chiara di quello che conta.
Questo ragazzo, destinato a una vita serena e piena di prevedibili successi, ha ricevuto una chiamata: Dio lo ha voluto più completamente suo, e la voce di Maria, in una ispirazione chiara, colta più con il cuore che con le orecchie, gli ha fatto capire che quello che l’aspettava era qualcosa di più importante, più radicale: tutto per Dio e solo per Lui. La scelta fu presa ed eseguita senza ripensamenti. Il cammino verso il convento portò Francesco qui a Loreto, dove trascorse alcuni giorni di riposo e di serenità, sotto lo sguardo di Maria. Il segno del suo distacco dal passato fu la confessione generale che fece nel Santuario della Santa Casa. Un esempio che dovremmo seguire, quando il Signore ci ispira di dare un impulso nuovo alla nostra vita spirituale e ci chiede di farci trasformare dalla sua grazia in persone nuove.
Il resto della vita di Gabriele dell’Addolorata fu speso nel silenzio dei conventi passionisti di Morrovalle e di Isola del Gran Sasso. Anche se era abituato alla vita agiata di una famiglia benestante, accettò tutti i limiti offerti dall’austerità della povera comunità passionista. La sua salute appariva cagionevole, ma egli non volle sottrarsi a nessuno degli obblighi richiesti dalla disciplina del convento. Eppure, tutti quelli che lo hanno conosciuto ne ricordano il sorriso, la gioia serena. I paesani che lo avevano visto in chiesa, non ne sapevano il nome, ma lo identificavano come: “Quel fraticello santo che faceva la comunione come un angelo”.
Innamorato di Maria, Gabriele scrisse parole piene di amore e di fiducia nella Sua protezione: “Credo, o Maria, che non ci sia altro nome all’infuori di quello di Gesù, così trasbordante di grazia, speranza e soavità per quelli che lo invocano. Credo che chi si appoggia in Te non cadrà in peccato, e chi Ti onora otterrà la vita eterna. Credo che la tua bellezza metta in fuga ogni movimento di impurità e ispiri pensieri casti”.
Il cammino di Gabriele su questa terra è stato breve, ma intenso e consumato in un meraviglioso crescendo di santità. Morto a 24 anni, è diventato un modello soprattutto per i giovani, ma anche per tutti noi. In lui vediamo rispecchiato il cammino di cui ci ha parlato San Paolo: conosciuto, predestinato, chiamato, giustificato e infine glorificato. Dio ha preso l’iniziativa, e Gabriele ha corrisposto con piena docilità e una disponibilità completa.
Ed è qui, a 150 anni dalla sua morte, a dirci che il cammino che lui ha compiuto lo possiamo compiere anche noi: anche noi chiamati secondo il disegno di Dio, anche noi destinati alla glorificazione. Questo è quello che Dio vuole per noi. Accogliamo la sua volontà e diciamo anche noi il nostro “sì”, il nostro “amen” alla Sua chiamata.