Problemi con il Cile

Nel 1993 vissi un momento particolarmente sgradevole, nel quale fui maltrattato senza ragione, ma, in compenso, fui anche lodato senza ragione. La causa di tutto fu la sensibilità della Bolivia e del Cile, in riferimento al tema del mare. Per chi non lo sapesse, nel febbraio 1879 il Cile attaccò di sorpresa la Bolivia e, in breve, conquistò tutta la regione del Litorale, che permetteva alla Bolivia l’accesso al mare. Il governo boliviano, in quel preciso momento, era troppo occupato a festeggiare il carnevale, per seguire le questioni di frontiera. E quando reagirono, tutto era già stato fatto. Da allora in avanti, la Bolivia reclamò in ogni istanza il suo diritto a riavere il Litorale, mentre il Cile negò l’esistenza stessa del problema.

Ricordo che, nella sede della OEA (Organizzazione degli Stati Americani), ad ogni conferenza generale annuale si ripeteva una sorta di liturgia diplomatica, per la quale il Ministro degli Esteri boliviano reclamava il diritto al mare, il Ministro degli Esteri cileno lo negava, e l’assemblea esprimeva solidarietà con la Bolivia. Naturalmente tutto restava poi come prima. Quando giunsi in Bolivia come Nunzio Apostolico, mi fu necessario poco tempo per comprendere quanto la questione del mare stesse a cuore ad ogni boliviano e, per questo, quanto fosse ancora vivace il risentimento contro i cileni, che, del resto, ricambiavano gli stessi sentimenti verso i boliviani.

Il 6 agosto 1993, alla scadenza del mandato presidenziale di Jaime Paz Zamora, fu installato il nuovo governo, guidato da Gonzalo Sanchez de Lozada, soprannominato Goni, che aveva vinto le elezioni. Il 20 agosto seguente, il Corpo Diplomatico incontrò formalmente il nuovo Ministro degli Esteri, o Cancelliere, Antonio Aranibar e, come di protocollo, dovetti fare un discorso a nome dei miei colleghi ambasciatori. Il testo dovette essere presentato con due giorni di anticipo, in modo che la Cancelleria potesse preparare il discorso di risposta del Ministro.

Nel mio intervento, tra le altre cose, ricordai che la Bolivia aveva conosciuto diversi episodi di aggressione da parte dei paesi vicini, al punto che dal territorio di due milioni di Km² posseduti al momento dell’indipendenza, si trovava ora ridotto a poco più di un milione di Km². Questo ricordo storico, che avevo mutuato da un libro di analisi storica di recente lettura, mi dava l’opportunità di augurare che la soluzione delle possibili divergenze fossero ora risolte in una atmosfera di pace e con criteri di integrazione latino-americana.

La risposta del Cancelliere, in riferimento ai rapporti con il Cile, fu molto più precisa e polemica: “Bolivia non rinuncerà mai alla sua rivendicazione marittima”, ma promise di usare per questo le armi della ragione e non della forza. La cosa si concluse tranquillamente, al punto che, lo stesso giorno, mi recai a visitare il Console Generale del Cile, che non era presente all’incontro al Ministero, dato che i due paesi non hanno relazioni diplomatiche. Gli riferii il tono del mio discorso e anche della risposta di Aranibar, che, comunque, non manifestava nessuna novità rispetto a quanto sempre detto e sostenuto dai governi boliviani.

Nel pomeriggio del giorno dopo ebbi un’avvisaglia di quanto stava per accadere: un giornalista mi chiamò da Santiago, per chiedermi ragione dell’attacco che avrei fatto contro il Cile. Risposi che non avevo menzionato nessun paese e che comunque Bolivia confina con cinque paesi diversi. Non potei fare a meno di riflettere sul fatto che il testo del mio discorso non era stato pubblicato per intero, che solo alcune frasi erano state riportate dalla stampa e che in nessuna di esse c’era, ovviamente, qualche allusione diretta al Cile.

Nonostante questo, tre giorni dopo i giornali di La Paz riportavano la notizia che il Ministro degli Esteri cileno, tale Silva Cimma, aveva criticato le dichiarazioni del Nunzio, dicendo che “evidentemente, egli non conosce il problema al quale ha voluto riferirsi”. Un giornale di Santiago aggiungeva che le mie affermazioni erano “inammissibili” e rappresentavano “un atto senza precedenti nella prudente diplomazia vaticana”.

Da questa uscita del Ministro cileno, scaturì una serie di conseguenze strane e comunque ingiustificate, proprio perché nessuno aveva avuto tra le mani il testo del discorso che avevo fatto. La Conferenza Episcopale Boliviana difese le mie dichiarazioni, ricordando il diritto della Bolivia di recuperare il mare, e sottolineando il fatto che in Cile non si era conosciuto né capito il contenuto del mio intervento. La Marina Militare boliviana, che in assenza del mare si chiama “Armada”, si schierò al mio fianco, definendo le parole di Silva Cimma “un disco rigato che ripetono le stesse cose … e continueranno in permanenza con questa politica ottusa e meschina nei confronti dei diritti inalienabili del popolo boliviano”.

Ricevuti altri appoggi nella stampa boliviana, dichiarai anch’io la mia sorpresa, perché evidentemente il Cancelliere cileno non aveva letto il mio discorso ed aveva attribuito a me quello che invece era stato detto dal Ministro Aranibar.

Purtroppo, le proteste cilene furono accolte senza nessuna riserva in Vaticano, dove era Segretario di Stato il Cardinale Sodano, antico Nunzio in Cile. Feci avere loro il testo del mio discorso, ma mentre il Sostituto Mons. Re rispose all’Ambasciatore che io non avevo mai menzionato il Cile, dall’altra parte Mons. Tauran mi inviò una lettera pesantissima, con riferimenti a episodi precedenti e seguenti, anche in contrasto con la successione degli eventi. Poco ci mancava che desse la colpa a me della stessa perdita del mare! Preparai una risposta accurata, per evidenziare le incongruenze delle loro accuse, ma poi rinunciai a spedirla. Ne feci un appunto per l’archivio, a futura memoria, misi una pietra sopra tutto questo e cercai, senza riuscirci, di dimenticare la storia.

In seguito a ciò, però, divenni in Bolivia una specie di eroe nazionale: se ero stato attaccato dai cileni, voleva dire che avevo difeso i diritti di Bolivia al mare. E questo merito mi fu attribuito in ogni luogo dove mi recai in seguito. Le immeritate lodi fecero il pari con le immeritate rampogne dei miei superiori. Con una piccola differenza: la gente semplice che mi esaltava non poteva sapere la verità dei fatti; i miei superiori la sapevano e si erano comportati in maniera falsa.

Un fatto successivo mi chiarì qualche elemento che non avevo valutato. Giunto a Nairobi, fui accolto come un fratello dalla comunità diplomatica latino-americana, Ambasciatore del Cile in testa. Durante un pranzo offerto da questi in mio onore, ricordai l’episodio, che egli non conosceva, ma mi spiegò, senza mezzi termini che Silva Cimma era un massone, e che da lui non ci si poteva aspettare niente di meglio.