Dom 27 ord C – 8 Ottobre 1995, Cattedrale di Fano.
Abacuc 1, 2-3; 2, 2-4
2 Timoteo 1, 6-8. 13-14
Luca 17, 5-10
“Anche voi, quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Spesso la realtà del mondo in cui viviamo ci lascia sgomenti, perché non ci piace, la sentiamo imposta, vediamo che ci spinge in una direzione che sappiamo sbagliata. Allora è spontaneo rifugiarci in una considerazione banale, che però ci dà sicurezza e ci giustifica: “In fondo le cose sono sempre andate così, non si riesce a cambiare, il desiderio di avere qualcosa di diverso è solo un’illusione, un’utopia”.
Gesù invece vuole un cambio e vuole che capiamo che Egli è quello che può provocarlo. Per questo ci chiede solo un pizzico di fede in Lui: una quantità minuscola come un granellino di senapa, che è tanto piccolo da sembrare sabbia. Ma è vivo, e capace di crescere. Sembra niente, ma può fare molto: può fare una vera differenza.
Questo poco di fede in Cristo può sembrare niente, qualcosa di irrilevante che non può modificare il cammino demolitore della storia umana. Eppure è qualcosa che può fare la differenza: può spostare gli alberi, muovere le montagne, e, cosa ancora più difficile, può cambiare i cuori e, attraverso i cuori, cambiare le strutture. Anche quelle strutture di ingiustizia che sembrano essere talmente parte della nostra società al punto da identificarsi con essa.
La liturgia di oggi ci ha fatto ripetere l’invocazione: “Fa che ascoltiamo, Signore, la tua voce”. Talvolta la fede diventa tiepida e poi appassisce e muore proprio perché non sappiamo alimentarla e stimolarla con il contatto con la Parola di Dio. Il messaggio del vangelo diventa per noi lontano o debole, o forse ci serve solo come se fosse una esercitazione dialettica. Ma senza impatto forte nella nostra vita quotidiana, che scorre seguendo altre idee, altri pensieri, altri sistemi, altre soluzioni concrete.
San Paolo chiede a Timoteo proprio questo tipo di impegno: “Ravviva in te il dono di Dio; agisci con forza, con amore, con saggezza; non vergognarti di rendere testimonianza al Signore; non vergognarti di me, che soffro per il vangelo”. Parole dette a ciascuno di noi, per superare la tentazione dell’appiattimento, dell’abitudine, del già visto e sentito. E anche la tentazione di aderire solo timidamente alla fede, quasi sentendo vergogna, nel timore di essere segnalati come ingenui e retrivi.
Tutte queste parole con cui la Provvidenza ci fa incontrare oggi, le sentiamo riflesse in modi diversi nella vita di coloro che ci hanno preceduto nel cammino verso Dio, e che nella loro esistenza hanno cercato di interpretare la risposta da dare alla chiamata del Signore per lavorare nel Suo campo. In modo particolarmente forte le leggiamo ora nella vita di Don Paolo: nella sua scelta di fondo e poi in tanti dettagli che hanno confermato e reso concreta la decisione iniziale. Una scelta di fede, di speranza e di amore, che non può essere capita né condivisa se non nell’ambito della stessa fede.
L’affetto per lui, che è tanto in noi e, lo so, anche in voi, ci rende forse incapaci di giudicare i fatti di una vita con la necessaria obiettiva serenità. Ma senza voler idealizzare nessuno, dobbiamo riconoscere che in lui si è manifestata sempre la convinzione che la fede può davvero cambiare il mondo, che il vangelo non è un’illusione ma una parola concreta, che le montagne, anche le più grandi e apparentemente inamovibili, possono essere buttate in mare. Montagne spaventose che sovrastano su persone e popoli interi: la prepotenza, l’ingiustizia, la discriminazione, la smania di profitto, la corruzione. Paolo ha lottato contro queste cose per tutta la vita e ha creduto nella sua battaglia, ha creduto sempre che ne valeva la pena.
La morte ha forse messo un punto finale a questa lotta? Certamente no, perché da quando Cristo è risorto, la morte è solo un passo necessario per la vittoria. Ognuno di noi sa di essere solo uno strumento, un servo e un servo inutile. Ma il cammino della Chiesa nel mondo, il cammino della costruzione del Regno di Dio, il Regno di giustizia e di pace, di amore e di solidarietà, è segnato dai passi benedetti di questi servi inutili.
L’opera che Paolo ha compiuto deve continuare: in ciascuno di noi possono vivere i suoi ideali di evangelizzatore e la sua donazione generosa ai fratelli, nei quali ha saputo vedere l’immagine più autentica del Dio della Vita; in noi può continuare a vivere la sua fede, quel granello di senapa che in lui ha dato frutto, un frutto che ancora vive; in noi può continuare a vivere la sua speranza in un mondo migliore. Queste dimensioni Paolo le ha vissute e ora le lascia a noi, perché ora a lui non servono più. Dato che in Dio la fede e la speranza non hanno ragione di esistere: in Dio resta solo la carità.