01 dicembre 2007
Cari fratelli e sorelle,
iniziamo il nuovo anno liturgico con questo invito del Signore, che ci chiede di essere pronti e vigilanti: è ora di svegliarci perché il giorno è vicino, la nostra salvezza è vicina, ma non sappiamo quando il Figlio dell’uomo verrà. Ma perché il Signore ci chiede di essere pronti, perché ci chiede di essere vigilanti?
Qualche anno fa, quando si avvicinava la fine del secondo millennio, in certi ambienti pseudo-religiosi andava di moda parlare tanto della fine del mondo, e molti l’avevano annunciata come una cosa che sarebbe successa di sicuro con il cambio di data. È strano che quella stessa gente vada ancora in giro, a predicare, dopo aver dimostrato di sapere ben poco delle cose del mondo e di Dio.
La venuta del Signore non può però riferirsi soltanto alla fine del mondo. Non possiamo farci conto, perché nessuno sa quando verrà e, comunque la si pensi, possiamo soltanto tirare a indovinare. Se dovesse alludere solo alla fine di tutto, o anche alla nostra fine, con la morte, quello di Gesù sarebbe un messaggio da poco, e anche un po’ triste. Certo, quello sarà un momento fondamentale, ma sarebbe meschino mettersi a pensare al Signore soltanto quando ci sentiamo vicini alla morte.
Credo che l’idea sia diversa: per il Signore, ogni momento della nostra vita può rappresentare un incontro con lui, ogni istante può metterci alla prova e sfidare la nostra fedeltà al suo messaggio, che abbiamo accolto nel nostro cuore. In ogni momento, anche ora, il mio vicino può aver bisogno di me, materialmente o spiritualmente; in ogni momento posso incontrare una tentazione, che cerca di mettere a rischio la mia fedeltà; in ogni momento la mia testimonianza cristiana può determinare la scelta positiva o negativa nella fede di qualche fratello o sorella.
In questo modo, ascoltando queste parole, io vengo oggi a voi come vostro nuovo pastore, per assumere la missione di Prelato di Loreto. Vengo a voi in tutta semplicità, da quel poveruomo che sono, con il desiderio di essere da voi accolto e di svolgere per voi e insieme con voi il mio servizio nella Chiesa.
Il Santo Padre Benedetto XVI mi manda a voi così come sono, con i miei molti difetti, molti limiti e pochi pregi. Avrete tempo, spero, per conoscere gli uni e gli altri. E io, con il vostro aiuto e con la grazia di Dio, spero di avere tempo e modo di ridurre i difetti e di ampliare i pregi.
Vengo a voi con grande gioia. Questa mia nomina a Loreto è la risposta ad un desiderio che avevo alimentato nel mio cuore, senza avere il coraggio di manifestarlo a nessuno. Anzi, quando ne parlai con una sola persona, un carissimo amico, questi mi disse che non era il caso di pensarlo, perché per Loreto si parlava di gente di alto livello, gente importante: meglio lasciar perdere. E così ho fatto. Non ne ho più parlato con nessuno e neppure ho pensato che fosse giusto pregare per questa intenzione.
Ma poi, con qualche incertezza, attraverso decisioni diverse, forse grazie alla preghiera di qualcuno, alla fine la scelta è stata questa, una scelta che io sento come un grande dono di Dio per me.
Vengo quindi a voi con il cuore pieno di ricordi belli delle tante visite alla Santa Casa che ho compiuto, da solo o con altri, durante questi anni, ricordi che voglio ora completare con una maggiore conoscenza del santuario e delle realtà storiche e spirituali che racchiude.
Vengo a voi con il cuore aperto – vorrei quasi dire spalancato – e vi chiedo di aprire per me il vostro cuore, in modo che ci possiamo conoscere, e conoscere bene. Parlando in passato con alcuni vescovi, che sono a capo di diocesi con pochi fedeli, dicevo loro che avevano la fortuna di poter conoscere personalmente ciascuno dei loro figli. Ora questa sfida tocca a me: non pensate che sia possibile che vi conosca tutti? Per favore, non vi aspettate che sia capace di ricordare i nomi: è già molto se mi ricordo il mio! Ma almeno potervi riconoscere, sapere qualcosa di voi, e voi sapere qualcosa di me. Per questo vi chiedo di non aprire soltanto i vostri cuori, ma di aprire anche le porte di casa vostra, in modo che possa venire a visitarvi, a conoscervi, a condividere i vostri problemi e le vostre aspirazioni. E magari anche per imparare qualcosa di come sono brave le cuoche e i cuochi di Loreto.
Quando un nuovo vescovo arriva nella sua diocesi, si chiede sempre quale sia il suo programma: cosa faremo, quale strada prenderemo? Allora ve lo dico: abbiate pazienza e datemi tempo per conoscere questa nuova realtà nella quale comincio a vivere; datemi tempo per conoscere i miei fratelli sacerdoti, i miei primi collaboratori e primi amici, che mi aiuteranno a sapere quello che si è fatto e a capire le necessità della Prelatura; datemi tempo per conoscere voi e per vedere in che modo possiamo aiutarci a vivere meglio la nostra fede comune.
Intanto, il programma lo abbiamo già, indicato nei ritmi dell’anno liturgico, che oggi cominciamo, e nel ritmo settimanale delle celebrazioni e degli impegni: il nostro cammino costante di preghiera e di testimonianza, il nostro andare avanti cercando la santità e cadendo talvolta nel peccato, offrendo al Signore il nostro pentimento e ricevendo da lui la sua grazia sempre nuova, per rinnovare la nostra vita. I sacramenti della Chiesa sono il nostro programma, non generico, non vago, ma preciso ed esigente, per guidarci nel nostro pellegrinaggio di fede.
E poi c’è il santuario. Viviamo all’ombra della Santa Casa, ed è da lì che ci vengono le lezioni più belle che fanno specifico il nostro impegno cristiano: il miracolo fondamentale dell’Incarnazione, la lezione della Sacra Famiglia, la lezione della vita nascosta di Gesù, la lezione di Maria, con i suoi lunghi silenzi, che parlano più di tanti discorsi; le sue poche parole, ognuna delle quali vale più di un libro; e i suoi grandi gesti, che ci danno la prima lezione di quello che significa essere discepoli e apostoli del Vangelo.
Il santuario porta con sé anche alcune realtà precise, anch’esse parte del nostro programma di fede. Al santuario vengono pellegrini, e soprattutto malati. Nell’accoglienza a loro si manifesta un aspetto preciso della nostra vocazione. Pensate bene qual è la nostra fortuna: Gesù ci dice che, alla fine del tempo, il Giudice divino ci chiederà se abbiamo saputo riconoscere lui in quelli che hanno fame e sete, in quelli che sono forestieri, sono nudi o malati o prigionieri. Ebbene noi non abbiamo bisogno di andare a cercare i malati e i forestieri, per esercitare verso di loro la nostra carità: sono loro a venire a noi, per offrirci il privilegio di accoglierli, di servirli, di rendere bella e piacevole la loro permanenza. Trattiamoli bene, con un senso di gratitudine, perché in loro è Gesù stesso che ci onora con la sua presenza. Venendo qui, essi potranno vivere una profonda emozione spirituale, nel visitare la Santa Casa, potranno conoscere la bontà misericordiosa di Dio nei sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia. Ebbene, che essi possano anche avere l’esperienza dell’ospitalità cordiale, dell’accoglienza fraterna, in modo che nel loro cuore resti il desiderio di tornare in questo luogo dove, in ogni modo possibile, si sono trovati bene.
Una seconda importante dimensione del santuario è la sua relazione con l’aviazione. Già nel 1920, il Papa Benedetto XV aveva proclamato la Madonna di Loreto Patrona dell’aviazione. Allora, gli aerei che volavano erano pochi, quasi un piccolo gruppo di cavalieri erranti. Oggi, se pensiamo a tutti i voli che si compiono per tante ragioni ogni giorno, possiamo immaginare il mondo intero come avvolto e quasi abbracciato da una fitta rete di rotte, con aerei che vanno e vengono dappertutto. Idealmente, ogni movimento aereo nel mondo è posto sotto la protezione di Maria. Idealmente, ogni persona che viaggia in aereo è un nostro fratello o sorella, e verso di ciascuno di loro abbiamo una responsabilità, direi quasi di parentela. Gli aviatori della Forza Aerea guardano alla Madonna di Loreto come alla loro Madre e si sentono come protetti sotto il suo manto: anch’essi devono sentirsi sempre benvenuti e benvoluti qui al Santuario, pellegrini, certo, ma pellegrini che tornano a pieno titolo a quella che è casa loro.
Nella prima lettura che abbiamo ascoltato in questa celebrazione, il Profeta Amos, come in visione, raffigura il tempio eretto sul monte, alla vista di tutti, e verso di esso “affluiranno tutte le genti” e diranno “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. Non devo fare un grande sforzo di fantasia per ricordare le tante volte che, venendo qui da Fano, a un certo punto della strada, si ha la visione della collina di Loreto, con il gruppo di case aggruppate attorno alla grande basilica, con la cupola così elegante che si slancia verso il cielo. “Venite, saliamo sul monte del Signore”. Come accadeva a Gerusalemme, anche qui tanti vengono, per salire sulla montagna del Signore, e per ricevere in questo luogo santo la direzione da seguire nel pellegrinaggio della vita. Con la sua stessa posizione geografica, Loreto si presenta come un punto di riferimento per tanti, come un invito a trovare, o ritrovare, o meglio scoprire il Signore, accompagnati in questo dalla materna protezione di Maria, che ci accoglie nella sua casa.
Cari fratelli e sorelle,
ecco le mie semplici riflessioni, al momento in cui per la prima volta mi trovo insieme a voi. Ora devo smettere, altrimenti potrete pensare che, fin dal primo momento, faccio le prediche troppo lunghe.
Ma lasciatemi concludere esprimendo un desiderio. Vi ho già detto che considero questa missione a Loreto come un grande dono che Dio mi fa. Con la grazia del Signore e con la protezione di Maria, vorrei essere capace di spendere le mie energie, in quello che mi resta della vita, per fare in modo che questo dono di Dio per me possa diventare un dono anche per ciascuno di voi.