Come ho spiegato in precedenza, durante il mese di agosto del 1984, la forte ostilità che mi aveva manifestato il Nunzio del paese più importante per il quale lavoravo, mi convinse del fatto che non avrei potuto continuare a collaborare con lui. Fu quindi necessario che io ripartissi per una Nunziatura. L’idea non mi dispiaceva affatto, perché la sosta a Roma, sia pure utile e interessante, si era prolungata fin troppo.
Dovetti aspettare qualche mese, e finalmente fui avvertito che la mia nomina era sul tavolo del Papa, che avrebbe dovuto confermarla. Mons. Silvestrini doveva assentarsi ma mi assicurò che l’Assessore, Mons. Coppa, mi avrebbe dato l’informazione. Che invece non arrivò, dato che mi fu detto soltanto: “Sarai contento della destinazione, ma ancora non sono autorizzato a dirti nulla”. E la faccenda andò avanti così ancora per un paio di settimane. Al suo ritorno, Silvestrini si meravigliò che io non sapessi ancora nulla e mi diede la notizia: sarei andato a Gerusalemme, a sostituire il mio collega, che sarebbe venuto a Roma a occupare il mio posto. Gioia grande e progetti immediati: riprendere lo studio della Bibbia, riprendere in mano il greco, forse addirittura l’ebraico, visitare ogni angolo della Terra Santa …
Progetti durati mezz’ora, dato che Silvestrini venne ancora, per raccomandarmi di non dire niente a nessuno, perché, in definitiva, la cosa non era poi così sicura come si pensava. Nuove difficoltà, cose importanti, responsabilità maggiori. E ancora un paio di giorni d’attesa. Fino a quando venne la notizia: dovevo andare a Belgrado. Quel Nunzio, nominato ad altra missione, doveva partire quanto prima, per essere nella nuova destinazione prima di Natale, e sarei quindi rimasto solo: “Certo Belgrado non è bella come Gerusalemme, ma è una prova importante, sarà utile per la tua carriera …” Tutte cose incoraggianti. Peccato che nessuna fosse vera. Il Sostituto, Mons. Martinez, aveva anche aggiunto che la nomina del nuovo capo missione avrebbe richiesto mesi, e avrei avuto un lungo periodo come incaricato d’affari. E tanto per confermare la balla, prima di partire, seppi che invece la nomina era già stata fatta.
Affrettando le cose, arrivai a Belgrado il 7 dicembre sera. Il volo era semplice: diretto da Roma a Belgrado. L’incaricato di preparare i biglietti, in Segreteria di Stato, aveva telefonato all’agenzia di viaggi in mia presenza: “Sì, volo Roma – Belgrado. No, solo andata. Niente ritorno!” Faceva l’effetto di una condanna a morte.
Mi ci volle del tempo per capire le vere ragioni che mi avevano portato a quella Nunziatura. Il motivo che mi era stato detto era che il Nunzio in partenza non voleva assolutamente che il segretario allora in servizio restasse come incaricato d’affari. Non si fidava di lui, perché lo giudicava non adatto e temeva che avrebbe combinato guai. Per questo, il segretario andò al posto mio a Gerusalemme e a me toccò Belgrado.
La verità era questa: il segretario a Belgrado non condivideva l’entusiasmo del Nunzio per la religiosa segretaria, verso la quale aveva invece sviluppato una cordiale antipatia. Il Nunzio temeva quindi che, una volta che lui fosse partito per Vienna, il segretario, nella sua qualità di incaricato d’affari, potesse allontanare la suora. Tutto qui.
A suo tempo, pur concedendo che il mio predecessore poteva aver esagerato nelle sue reazioni, dovetti condividere le sue riserve e il suo giudizio, sostanzialmente negativo. Quello che lui non poté fare, lo feci io e allontanai la suora dalla Nunziatura. Lo feci però con una adeguata delicatezza, in modo che l’episodio non fu mai considerato parte di un conflitto, ma un semplice avvicendamento di persone.
Nel comunicarmi il cambio di destinazione, Silvestrini mi aveva anche promesso che, in qualche modo, a Gerusalemme ci sarei andato più tardi. Ma anche questa rimase solo una promessa.