24 marzo 2009
Contemplando il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, l’apostolo Giovanni riflette sull’esperienza sua e dei suoi compagni, i discepoli di Gesù, che per i tre anni della vita pubblica hanno vissuto insieme con lui, in una comunione quotidiana di vita. Essi hanno potuto vederlo, contemplarlo, e lo hanno persino toccato con le loro mani: l’incarnazione di Cristo, il fatto cioè che Dio è diventato uomo, non è per lui e per loro un’idea, un’illusione, un’invenzione di menti malate o fantasiose. No, è qualcosa che essi hanno sperimentato, e che ricordano con emozione sempre nuova. Essi hanno visto la vita e di questa vita sono pronti a dare testimonianza, per affermarne la verità: è qualcosa che è stato loro annunciato e che ora essi annunciano a tutti noi, fondando la nostra fede nell’incarnazione del Verbo.
Oggi la Chiesa si sofferma a contemplare questo momento nella storia della salvezza, quando Dio chiese a Maria di voler diventare la Madre del Salvatore. L’evangelista Luca ci narra quel colloquio che, una volta per sempre, ha cambiato la storia dell’umanità. Il “Sì” di Maria, offerto con umiltà ma con coscienza, apre le porte alla liberazione dell’umanità intera dalla schiavitù del peccato. È il passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla liberazione, dall’anonimato di una folla all’identità di un popolo scelto.
Gesù, che si fa uomo nel seno di Maria, inizia l’avventura umana come ogni altro uomo apparso nel mondo. Solo che questa volta, la nascita avviene “non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo” (Gv 1,13) ma dalla volontà di Dio che si unisce alla volontà di una vergine ebrea. Così il Verbo si è fatto carne.
Noi contempliamo l’incarnazione con particolare commozione, perché ci troviamo qui, nel Santuario della Santa Casa, vicino a quelle pareti, che sono state silenziose testimoni dell’annuncio dell’angelo, del “sì” di Maria e del compiersi del mistero. Ma se questo luogo è santo e ci evoca quel momento, quanto più santo è il seno di Maria, vero purissimo tabernacolo che si apre ad accogliere il Figlio di Dio.
Ora facciamo le dovute differenze e limitazioni. Ma anche ciascuno di noi deve sentirsi partecipe del grande momento dell’incarnazione, perché essa diventa parte della nostra vita: in qualche modo, nella preghiera, nell’incontro con i fratelli, nella comunione della Chiesa, nel contatto sacramentale, e specialmente nell’Eucaristia, noi tutti siamo coinvolti nel mistero del Dio Uomo. Noi non possiamo dire, come dice San Giovanni: “Quello che abbiamo visto, contemplato e toccato”. Ma in qualche modo anche noi siamo in contatto con Cristo Gesù, lo incontriamo e lo portiamo con noi nel nostro cammino quotidiano. Il dono che Dio, attraverso l’assenso di Maria, ha fatto all’umanità è un dono fatto anche a me.