Omelia per il funerale di Mons. Jorge Manrique

Arcivescovo Emerito di La Paz


“Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io”

(Gv  17,24)

La parola di Cristo illumina il momento della morte, e ci fa comprendere che questo passo, misterioso e doloroso, è necessario per giungere a vedere Dio e per vivere con lui la vita piena, quella che abbiamo preparato durante il cammino della nostra esistenza terrena.

La famiglia cristiana di La Paz si riunisce in questa chiesa cattedrale per accompagnare il suo anziano e amato pastore, Jorge Manrique, al riposo eterno. Il suo corpo tornerà alla terra, dove rimarrà nell’attesa fiduciosa della risurrezione finale, quando “quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui” (1 Tess 4,14).

Sono presenti anche vescovi di varie parti della Bolivia, che sono venuti per rendere un tributo di riconoscenza a chi, con il suo lavoro e la sua testimonianza, ha servito la Chiesa ben al di là dei confini di Oruro prima, e di La Paz poi, con parole e interventi che sono stati un punto di riferimento sicuro per molti in questo paese.

Parlo del caro Monsignor Manrique e sono sicuro che ciascuno di voi potrebbe e saprebbe dire molto di più di quanto possa o sappia dire io. Quanti ricordi raccolti dalle labbra di fratelli nell’episcopato, quanti particolari commoventi ascoltati da sacerdoti, quanti episodi emozionanti e divertenti allo stesso tempo narrati dalle religiose: la vita di Monsignor Manrique ci si presenta come intessuta di una mescolanza sconcertante,  e per questo stupenda di arguzia e di semplicità, di riflessione attenta e di disordine ingenuo, di partecipazione nella sofferenza e di allegria offerta a piene mani, di bontà senza limite e di fermezza coraggiosa fino ai limiti  della temerarietà

Tutti voi sapete quale forza ha avuto la sua parola, quando ha dovuto denunciare ingiustizie e sfruttamenti, senza nascondere mai la verità del Vangelo dietro allo schermo di una malintesa prudenza diplomatica. Sapete anche con quale energia ha messo alla prova la sua resistenza fisica per raggiungere ogni luogo ed ogni persona presente nelle sue giurisdizioni. Sapete con quanta generosità si aprivano le sue mani per aiutare i bisognosi. La statura del suo corpo, non eccelsa, è stata come sublimata dalla grandezza del suo cuore: piccolo grande uomo, tutto speso nell’amore di Dio e nel servizio dei suoi fratelli.

Questa testimonianza di vita che Monsignor Manrique che ci ha lasciato, voi la conoscete meglio di me. Lasciate quindi che vi dica qualcosa di quello che personalmente ho potuto cogliere in questi anni, nei miei contatti con lui e specialmente in questi ultimi giorni della sua vita.  Monsignor Manrique è stato il primo vescovo boliviano che ho conosciuto, perché ci siamo incontrati prima che la mia nomina come Nunzio apostolico fosse resa nota.

Notando il mio interesse per la Bolivia, del quale evidentemente non poteva comprendere la vera ragione, mi invitò a venire: “Venga a visitarmi a La Paz”. Quando già ero in Bolivia, come Nunzio, mi visitava ogni tanto, come faceva lui, senza annunciarsi prima: spontaneo e disordinato come sempre, e per questo, forse, tanto amato. Ha accettato di battezzarmi e il soprannome affettuoso di “Pimpollo” è rimasto sulle sue labbra fino alla fine.

Durante i giorni della sofferenza, ha accettato con pazienza i limiti della sua situazione. Aveva solo parole di ringraziamento per chi lo assisteva ed espressioni di abbandono alla volontà di Dio: “Che sia come vuole Lui”. Ha ricevuto dalle mie mani l’Unzione degli Infermi e il Santo Viatico, sereno, disposto ad accogliere il Signore, che appena un giorno dopo lo ha chiamato a sé.

Prima del 29 di giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, ha voluto inviare una lettera al Papa, dettando faticosamente le parole: un testamento spirituale che esprime il suo affetto filiale alla Vergine, la sua fedeltà alla Chiesa e al successore di Pietro. Riferendosi alla sua condizione fisica, concludeva: “Queste sofferenze le offro al Signore, per il bene della nostra Chiesa, per le sue intenzioni, amato Santo Padre. Mi raccomando alle sue preghiere”. Giovanni Paolo II gli ha risposto con un messaggio di incoraggiamento e una benedizione affettuosa.

Le ultime ore di vita le ha trascorse in una attesa cosciente e piena di fiducia. Con il Rosario in mano, lo sguardo all’immagine della Vergine, nell’offerta serena di chi ha fatto quello che doveva fare e che poteva dire con il Maestro: “Tutto è consumato”.

C’è ancora un dettaglio che voglio sottolineare e che ricordo con profonda gratitudine: durante le sue sofferenze, Monsignor Manrique è stato assistito da molte persone, che, con dedizione veramente materna, si sono alternate attorno al suo letto, soprattutto religiose, ma anche buone signore, che lo hanno aiutato e accompagnato in questi momenti supremi. Esse sono state in certo modo il segno tangibile dell’affetto e della gratitudine di tutta la Chiesa di La Paz al suo anziano pastore. Compiendo questi gesti di carità verso Monsignor Manrique, esse ci hanno rappresentati tutti, hanno fatto quello che noi non abbiamo potuto fare. Per questo tutti siamo molto riconoscenti.

Ora il nostro fratello Jorge, figlio di questa terra boliviana, figlio di Dio per il battesimo, sacerdote e vescovo, è tornato alla casa del Padre. I limiti dell’età e della stanchezza, che egli sentiva nei suoi ultimi anni, non esistono più. La sincerità del suo esempio ci ispira. In lui vediamo chi non ha mai ridotto le esigenze del Vangelo, chi non ha mai tradito la sua gente né dimenticato la sua patria e i suoi sacrosanti diritti: è stato sempre disposto ad esporsi in prima persona per questo.

In questa solennità della Vergine del Carmine, giorno di La Paz, affidiamo alla terra il corpo del nostro fratello Jorge, e chiediamo a Dio Padre di accogliere la sua anima. Ci impegniamo a portare avanti i suoi ideali di servizio per i quali egli ha speso tutta la sua vita e con fede ha accettato la morte.