Loreto, 8 settembre 2016
Cari fratelli e sorelle, cari amici,
Ascoltando la lettura della pagina del vangelo di oggi, abbiamo tutti notato la continua ripetizione di un verbo, che ha sottolineato ogni frase, come un ritornello: “Generò”. Il cammino dell’umanità, descritto nella storia di un popolo particolare, il popolo d’Israele, si svolge e si sviluppa attraverso il succedersi delle generazioni. Così fiorisce la storia, la nostra storia: i genitori generano figli, che a loro volta diventano genitori e trasmettono la vita ad altri figli. Così è stato per secoli e per millenni, con il continuo progredire dell’umanità verso livelli di progresso sempre più alti, grazie al contributo che ogni persona umana offre alla storia universale.
Nella narrazione del Vangelo, però, proprio al termine della lunga lista di generazioni, c’è un cambio di prospettiva: non più una generazione secondo le leggi della natura, ma l’intervento straordinario di Dio che permette la nascita di Gesù da Maria, che diventa madre pur continuando ad essere vergine. Dio entra nella storia umana, nella nostra storia, e introduce un nuovo modo di generare, che non fa a meno della generazione umana, ma vi aggiunge una dimensione nuova, spirituale, che fa di ogni uomo e donna che ne sia parte un figlio e una figlia di Dio.
Oggi ricordiamo la nascita di Maria, colei che il progetto di Dio ha scelto per essere la madre del salvatore del mondo. L’8 dicembre celebriamo il concepimento di Maria nel seno di sua madre, ed affermiamo la nostra fede nel fatto straordinario della sua esenzione, fin dal primo istante della sua vita, da ogni contatto con il peccato, quello che ogni membro dell’umanità riceve come triste eredità della ribellione a Dio dei nostri progenitori.
Nove mesi dopo, secondo le leggi della natura, nasce una bambina. Notate: con ogni probabilità, i suoi genitori, di cui la tradizione ci ha trasmesso i nomi: Gioacchino e Anna, sono rimasti delusi. Il privilegio desiderato da tutti era quello di dare alla luce un figlio maschio. Certamente una bambina, specialmente quando giungeva dopo una lunga attesa e un desiderio ormai quasi spento, poteva essere la benvenuta. Ma un maschio sarebbe state molto più gradito.
Come potevano immaginare, i poveri e ingenui genitori della bambina appena nata, il destino che Dio aveva riservato per questa creatura. Come avrebbero potuto anche solo lontanamente sognare che questa loro figlia sarebbe diventata la donna più alta e santa mai apparsa al mondo, la più famosa in tutte le generazioni, la più amata e la più venerata non solo dai cristiani ma anche, sia pure con minore enfasi, dai seguaci della religione islamica.
Qualche donna famosa nella storia potrebbe gloriarsi di essere stata rappresentata da un grande artista. Ma possiamo chiederci: esiste un artista, dal più mediocre al più grande, che non si sia cimentato nel rappresentare Maria, riversando in quelle immagini il meglio della sua ispirazione e della sua abilità?
Nasce una bambina, e Dio ha per lei un progetto di dimensioni infinite.
Ogni bambino che nasce porta con sé un progetto di Dio, che noi non conosciamo, ma sappiamo che c’è. Ogni bambino che nasce è l’opera più alta che l’umanità può esprimere. Per quanto possa essere grande l’uomo che è padre, la donna che è madre, per quanto essi possano essere pieni di talenti creativi in ogni campo dell’arte e della scienza, della politica e della finanza – un figlio che nasce da essi resterà sempre la creazione più alta, più bella, più importante che essi saranno capaci di produrre.
La storia dell’umanità avanza grazie al contributo di ogni persona. Ogni bambino che vede la luce porta con sé la potenzialità di opere grandi: progressi nella pace, nella scienza, nella comprensione dell’universo, nell’eliminazione delle malattie e della miseria. Ogni bambino che non nasce è tutto questo al contrario: la perdita di una grande occasione per l’umanità intera, un passo indietro nella storia, un rinuncia a vivere e a crescere.
Nella nostra società di oggi, o almeno in molti settori di essa, sembra che ci sia una grande paura della vita. Si parla di un inverno della natalità: le generazioni non si rinnovano, i vecchi sono sempre più numerosi e non ci sono più giovani che se ne prendano cura. Da una generazione all’altra i numeri si restringono e sembrano preannunciare la scomparsa di un popolo, che sarà più o meno rapidamente sostituito da altri popoli, che invece continuano ad apprezzare il dono della fecondità.
Questa scelta di sterilità sembra indicare un senso triste di paura: paura del presente e paura del futuro, paura di mancare di qualcosa, paura di non riuscire ad essere capaci di trasmettere un benessere adeguato, paura della povertà; quella povertà che esiste, ma che è tanto lontana da noi e della quale non abbiamo neppure la più lontana immaginazione. Alcuni dicono che solo degli incoscienti possono chiamare alla vita dei figli, in un mondo come questo. C’è un senso di paura e una completa mancanza di speranza: la convinzione, in definitiva, che il mondo è destinato ad essere così e non può migliorare, e che quindi non vale la pena di vivere e il nostro destino può essere soltanto una scelta di auto sterminio.
La nascita di Maria è invece portatrice di un messaggio di speranza. Guardate: dico “speranza”, non “ottimismo”. L’ottimismo è soltanto un modo di essere o di far finta, qualcosa che sento in me perché sono fatto così. La speranza è ben altra cosa: la speranza si basa sulla fede in Dio, sulla certezza che il progetto di amore che il Signore ha per tutti noi deve essere realizzato attraverso il nostro impegno e la nostra buona volontà. La speranza ci parla di una necessità di inserire nella nostra società quei principi di solidarietà, di corresponsabilità, di condivisione che ne sono tristemente assenti. La speranza ci dice che è possibile fare del bene ed è possibile fare meglio. Cerco di essere più preciso: la speranza mi dice che io posso fare del bene e contribuire al miglioramento del mondo, La speranza ci stimola a dare tutta la nostra vita per ideali animati dall’amore del prossimo, manifestazione sincera del nostro amore di Dio e risposta all’amore che Dio ha per noi, amandoci per primo.
La nascita di Maria ha fatto apparire nella storia dell’umanità l’aurora di un tempo nuovo. Nel nascondimento di una città della Palestina, una rivoluzione di portata cosmica ha avuto il suo silenzioso inizio. Quella rivoluzione continua a crescere con ogni uomo o donna che vive gli stessi ideali e lotta per costruire un mondo migliore. Pensiamo che questo sia un sogno, una pia illusione? Pochi giorni fa, Madre Teresa di Calcutta è stata proclamata santa. Vorremmo negare che la vita di questa piccola donna abbia portato una speranza nuova per tante migliaia di persone? Ci rendiamo conto di quanti e quante si sentono ispirati dal suo esempio, per imitarne la dedizione ai più poveri, a quelli che poveri lo sono davvero e per questo sono disprezzati e messi al margine di tutto.
Anche se nessuna donna potrà mai uguagliare la santità unica di Maria, tante donne ne potranno seguire l’esempio ed esserne un riflesso, limitato ma pur sempre luminoso. Sono tante le donne e tanti gli uomini, figlie e figli di questa nostra povera umanità, che hanno continuato a lottare, ad amare e a offrire la loro esistenza perché i valori forti del vangelo possano diventare una regola di vita per tanti.
Per ogni bambino che ottiene il permesso di nascere, si ripete il miracolo della vita e si afferma la volontà di rispettare il progetto che Dio ha per ciascuno di essi. Ogni genitore dovrebbe contemplare questo progetto nelle proprie creature, con il desiderio di coltivarlo con una delicatezza piena di attenzioni, e così permettergli di diventare reale. Questo, e soltanto questo, può portare un cambiamento nella nostra famiglia umana. Ispirati dall’esempio di Maria, di cui oggi celebriamo la nascita, contempliamo il dono della vita in ogni bambino che nasce: in ognuno di essi c’è la potenzialità di un cammino nuovo, di una grandezza nuova, di una fase nuova ed esaltante nella nostra storia umana, in quella storia in cui Dio esercita la sua paterna misericordia.