Durante gli anni del mio servizio a Londra, Monsignor Igino Cardinale era Nunzio Apostolico in Belgio. Stava allora pubblicando un grosso manuale sulla diplomazia della Santa Sede in inglese, e un paio di volte venne a Londra per mantenere i contatti con l’editore e per correggere personalmente le bozze.
Durante quei giorni, era ospitato in una camera per ospiti a fianco del mio ufficio e, nei momenti di stanchezza, veniva a vedermi e chiacchierare un po’. Ugualmente, dopo cena, mi invitava ad andare da lui, per vedere insieme la televisione. Di fatto, più che guardare le trasmissioni, mi parlava di tanti argomenti ed io lo seguivo con interesse. Cardinale era stato Delegato Apostolico a Londra fino a cinque o sei anni prima, e i suoi ricordi e le sue analisi erano per me utilissimi per capire meglio la situazione della Gran Bretagna.
Con molto piacere ascoltavo anche i suoi ricordi degli anni trascorsi a Roma, come Capo del Protocollo della Segreteria di Stato, quando occasionalmente esercitava la funzione di segretario del Papa Pio XII, che non aveva un suo segretario particolare. Attraverso i suoi racconti, la personalità del Papa, che avevo visto solo due volte e molto da lontano, ma per il quale ho sempre avuto una grande ammirazione, acquistava per me una dimensione nuova, molto più reale e concreta e con molti spunti di umanità.
Sapevo, dai ricordi del Cardinale Tardini, della povertà nella quale viveva il Papa. Cardinale mi confermò questo aspetto, spiegandomi che in tutti gli anni di pontificato, Pacelli mantenne sempre una sua piccola croce pettorale e non volle mai cambiarla. Un giorno l’anello di congiunzione della croce si ruppe. Mentre il gioiello era ad aggiustare, il Papa aveva un’udienza e si preparava ad andare senza la croce. Cardinale insistette perché ne mettesse una, tra quelle che aveva a disposizione: non stava bene che ricevesse persone senza la croce! Il Papa accettò malvolentieri e, finita l’udienza, restituì immediatamente la croce provvisoria, in attesa di avere indietro la sua riparata.
Un altro particolare curioso: ogni tanto, da buon romano, Pacelli usciva con espressioni in romanesco. Ne ricordo una, in riferimento a qualche collaboratore scontento: “E baccajavano pure!”
Il Papa aveva una memoria visiva prodigiosa, ma diceva semplicemente che non ne aveva nessun merito, perché era un dono di natura. Fino al 1954, i suoi discorsi erano pronunciati senza avere nessun foglio davanti agli occhi. Dopo aver scritto il testo, passeggiando nei giardini vaticani, lo leggeva due o tre volte ad alta voce, e quindi lo ripeteva senza guardare più i fogli. Quando poi pronunciava il discorso, Mons. Cardinale, che era a fianco del trono e seguiva il testo che aveva in mano, si rendeva conto del momento in cui, mentalmente, il Papa girava pagina.
In una occasione, nel 1954 appunto, Pio XII ebbe un momento di smarrimento, del quale lui solo si rese conto. Ma da allora in poi, scelse di avere con sé i fogli del discorso che doveva pronunciare.
Non credo di aver allora detto a Monsignor Cardinale una definizione di Pio XII fatta dal Cardinale van Roey, Arcivescovo di Malines, che mi aveva raccontato il Nunzio Jadot: “Un mélange de Greta Garbo et du Curé d’Ars”. Maliziosa, forse, ma molto azzeccata.