In occasione della seconda visita a Santa Cruz, il 29 luglio 1990, il Vescovo Ausiliare Tito Solari mi accompagnò a visitare una nuova istituzione, affidata a un suo confratello salesiano: l’Hogar Don Bosco, dove Hogar è il termine spagnolo per Focolare. Incontrai allora P. Ottavio e insieme con lui i primi ospiti di quella casa: bambini e ragazzi portati via dalla strada, con situazioni famigliari difficili e storie di violenza e di abbandono. In breve, tutti sono diventati amici miei e, credo, anche io sono diventato amico loro.
Fino a poco prima, l’istituto aveva il nome di Hogar Granja ed era considerato come una specie di “lager”, in cui i ragazzi entravano malvolentieri, sapendo che vi sarebbero stati trattati male e senza nessuna attenzione educativa. P. Ottavio trasformò la struttura, risanandola e abbellendola, e rendendola sempre di più un luogo gradevole e accogliente. In conseguenza, i giovani che vi erano accolti stavano continuamente crescendo di numero e si poteva cogliere un’atmosfera rilassata e positiva nella loro convivenza. Lo spirito salesiano cominciava a dare i suoi frutti-
Da allora, ogni volta che sono tornato a Santa Cruz, ho fatto in modo di trascorrere qualche momento tra i ragazzi dell’Hogar. Conoscendoli, ho saputo qualcosa delle loro storie, delle difficoltà che avevano dovuto affrontare, delle sfide che avevano davanti a sé.
Col passare degli anni, alcuni di loro sono venuti a La Paz per una visita, e sono stati ospitati nella Nunziatura. Ricordo che, in una di queste occasioni, quando due di loro erano rimasti con noi alcuni giorni, il mio segretario mi disse che, a suo parere, erano stati gli ospiti più corretti ed educati che avevamo avuto.
In una circostanza specifica, ho potuto essere utile all’Hogar, offrendo un sostanzioso aiuto finanziario per la costruzione di una palestra che permettesse ai ragazzi di giocare e di svolgere esercizi sportivi anche in caso di pioggia. Facendo male i miei conti, avevo creduto di poter contare sulla liquidazione di una assicurazione che avevo acceso a favore di mio fratello Don Paolo. Dopo la sua morte, considerandola ormai inutile, chiesi di chiuderla, sperando di ricevere il premio intero, mentre me ne fu restituita solo una parte. Facendo qualcosa che non avevo mai fatto prima, né ho più fatto dopo, chiesi aiuto ad amici e conoscenti. Grazie a loro, l’opera, grande e bella, fu completata e debitamente inaugurata. La mia partecipazione è stata ricordata con una targa, la cui vista, in fotografia, mi commuove sempre. Non capita spesso di poter pensare: “Almeno per una volta ho fatto qualcosa di buono!”
Con il passare degli anni, i contatti con gli allora ragazzi dell’Hogar Don Bosco, si sono prima rarefatti e poi sono scomparsi del tutto. Mi chiedo talvolta cosa sia accaduto di loro, che ormai sono adulti. So bene che fa parte delle cose della vita il creare contatti, vivere amicizie, e poi accettare che queste si esauriscano e scompaiano.
Resta il rapporto fraterno con P. Ottavio, dal quale ricevo notizie. Ho anche sognato di poter tornare a Santa Cruz, per svolgere qualche forma di servizio nell’Hogar. Ma so bene che è soltanto un sogno.