Nel mese di aprile del 1992, accogliendo il suggerimento del Vicario Apostolico, Monsignor Luis Casey, avevo stabilito di andare a celebrare la Settimana Santa in una comunità del Vicariato del Pando, dove vivevano alcune suore della congregazione delle “Cruzadas de la Iglesia”, ma non c’era nessun sacerdote residente.
Per raggiungere la meta, in piena regione amazzonica, avevo previsto un volo con la compagnia aerea militare, TAM, che, da La Paz, mi avrebbe portato a Cobija. Di lì, in auto, avrei proseguito per Puerto Rico. Facile a dirsi, ma più complicato a farsi.
Il lunedì mattina, 13 aprile, mi presentai all’aeroporto, ma giunsi con un leggero ritardo. Si era ancora al check-in, ma di fatto un buon numero di passeggeri non poté volare. Io tra loro. Pare che l’impiegato responsabile avesse voluto favorire alcuni amici fuori lista, per cui alla fine non ci fu posto per tutti. Tra i rimasti a terra, un deputato, un giornalista e un uomo d’affari. Ci fu detto che il giorno dopo un Hercules doveva salire al nord, e ci avrebbero potuto trasportare.
Fu così, e il giorno dopo ci trovammo nel ventre di questo bestione, seduti su panche di legno lungo le pareti, come avevo visto fare da altri, ma solo in qualche film di guerra. Partimmo da La Paz e giungemmo a Trinidad, nel Beni. Lì ci fu detto che l’aereo non poteva continuare perché, a causa delle piogge, l’aeroporto di Cobija, con la pista in terra battuta, era inagibile per un mezzo così pesante. La scelta era quindi o di restare lì, o di tornare a casa.
Dato che i tre che ho ricordato sopra avevano anch’essi urgenza di arrivare alla meta, decidemmo di cercare una soluzione per continuare il viaggio. Chiamai al telefono il vescovo del Beni, Monsignor Julio Maria Elias, che subito venne e ci aiutò a trovare un accordo con una piccola compagnia aerea locale, che ci offrì di raggiungere Guayaramerin su un aereo da quattro posti. Dovemmo sederci su una panca posticcia di legno, e fummo invitati a sporgerci in avanti, al decollo e all’atterraggio, per mantenere l’equilibrio. Il volo fu abbastanza tranquillo, ma sotto di noi c’erano soltanto acqua e foresta. Per tranquillizzare i compagni di viaggio, che non avevano esperienza di voli con aerei così piccoli ed erano decisamente impauriti, avevo loro assicurato che, in caso di emergenza, ci sarebbero bastati cinquanta metri di spazio libero per atterrare. Guardando poi in basso, cercavo con lo sguardo se da qualche parte ci fossero questi benedetti cinquanta metri di terra scoperta. Ma non c’erano per niente, perché tutta la regione era allagata. Meno male che non ci fu nessuna emergenza.
Arrivammo comunque a terra e, al telefono, chiamai subito il parroco del posto. L’accoglienza fu più che cordiale: “Ecco dove è il Nunzio! Tutti lo cercano e nessuno sa dove sia finito”. A Trinidad non c’era un telefono collegato con il resto del paese, e quindi non avevo potuto comunicare a nessuno la mia posizione. Venne comunque a prendermi e passai la notte nella casa parrocchiale.
Il giorno seguente, Mercoledì Santo, salii sull’aereo di linea che, con sosta a Riberalta, mi fece arrivare finalmente a Cobija. In questo modo, invece di poter essere a Puerto Rico fin dall’inizio della Settimana Santa, arrivai il 16 aprile, a metà mattinata del Giovedì Santo, appena in tempo per organizzare la celebrazione della Messa in Coena Domini.
Il resto dei giorni della mia permanenza a Puerto Rico trascorse nella preparazione delle celebrazioni, nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione e, soprattutto, nella lotta contro le zanzare.
Prima di partire, seguendo le istruzioni avute da una suora, mi ero immunizzato contro le punture degli insetti. Il consiglio era questo: far bollire un po’ di latte con uno spicchio d’aglio, poi buttare l’aglio e bere il latte. Dopo tre giorni di questa cura, non sgradevole, le zanzare non mi avrebbero più toccato. Giunto a Cobija, sperimentai l’efficacia del sistema, mettendo il braccio nudo a disposizione delle zanzare, che, effettivamente, si avvicinavano ma poi volavano via senza toccarmi.
Ma a Puerto Rico le zanzare erano del tutto ineducate e, di sicuro, non avevano mai sentito parlare di latte con l’aglio. Pungevano comunque e ovunque, e i sistemi artigianali usati dalle suore per tenerle lontane non davano risultati apprezzabili. Bruciavano cortecce aromatiche, che avrebbero dovuto allontanare gli insetti. Ricordo ancora una cena, con le cortecce che bruciavano sotto il tavolo, noi che mangiavamo tossendo per il fumo che ci intossicava, e le zanzare che, incuranti di tutto, pizzicavano con entusiasmo ogni parte scoperta dei nostri poveri corpi.
Un ricordo speciale lo merita la superiora della comunità delle Suore, Suor Lucia Sandoval, che amava intervenire nelle celebrazioni, con frequenti e lunghissime spiegazioni ed esortazioni. Per dirla con semplicità: non si sapeva come farla stare zitta. Mentre preparavamo la veglia di Pasqua, Suor Lucia si propose per leggere le litanie dei Santi: “Va bene, Suora, faccia pure, ma le raccomando di non fare un commento per ogni invocazione!”