Due donne, ambedue chiamate Helena, mi hanno lasciato un bel ricordo.
La prima l’ho incontrata nella cittadina di San Ignacio de Moxos, nella provincia di El Beni. Ho appena raccontato che, nel mese di marzo 1994, insieme con il Vescovo, Mons. Julio Maria Elias, feci una visita al Vicariato Apostolico di El Beni, muovendomi con un piccolo aereo di quattro posti, dato che tutta la regione era allagata e non c’era altro modo di spostarsi da un villaggio all’altro. L’8 marzo, siamo arrivati in questa antica comunità, fondata ai tempi delle ‘reducciones’ gesuitiche. La gente era accorsa alla pista per accoglierci e, guidata dal gruppo dei ‘macheteros’, ci accompagnò fino alla chiesa. Qui era previsto un breve momento di saluto, per poi prepararsi alla celebrazione della Messa. Il saluto divenne molto più lungo del previsto, perché la gente aumentava sempre e tutti volevano salutare il Nunzio.
Tra questi, ecco la mia Doña Helena, che si presenta con un cartoccio in mano: “Ho preparato un anello di ‘chonta’ per lei”. La ‘chonta’ è un albero della famiglia delle palme spinose, dal legno durissimo, che produce noci rotonde che, tagliate nel modo adatto, possono essere usate come anelli, dal colore nero lucido. Nel dubbio, butto là una scusa: “Ma non tutte le dita sono uguali!”. “Vediamo subito” e tira fuori un anello tagliato in modo da apparire come anello vescovile, che, alla prova, si rivela perfetto. Metto in tasca l’anello che avevo al dito e inauguro quello nuovo.
La mattina dopo, preparandomi per partire, rimetto l’anello di “chonta”, e faccio bene, perché nel breve cammino verso la pista rivedo Doña Helena, che mi scruta attentamente. Vuoi vedere che è venuta apposta per verificare se avevo ancora il suo anello? Quello che Doña Helena non può sapere è che il suo anello mi è stato utilissimo: l’ho usato spesso e lo uso ancora, l’ho mostrato spessissimo, perché il suo aspetto suscita curiosità e interesse, e tante, ma tante volte, ho parlato di lei, ricordandola sempre con un affetto del tutto speciale. Un grande grazie, quindi, alla prima Helena.
Ed ora vi dirò della seconda. Nel mese di dicembre del 1993 si teneva a Tupiza, nella parte più meridionale della diocesi di Potosí, un congresso missionario giovanile, al quale ho accettato di partecipare.
Arrivato in aereo a Potosí il 14 dicembre, avevo continuato in auto fino a Tupiza, accompagnato da un sacerdote della diocesi. Era stata prevista una sosta a Toropalca, più o meno a metà del cammino. Le signore della parrocchia, guidate da una attivissima Doña Helena, avevano preparato un pranzo, come sempre capace di sfamare tanta gente in più. Sentendo che, due giorni dopo, saremmo passati ancora la mattina presto per prendere l’aereo di ritorno a La Paz, promisero di aspettarci con un caffè caldo.
Effettivamente, quando verso le quattro del mattino, ed era ancora buio, stavamo correndo verso Potosí, all’altezza di Toropalca il sacerdote mi disse di aver percepito, all’incrocio della deviazione per la cittadina, una qualche presenza. Ci fermammo e tornammo indietro: una camionetta era ferma al lato della strada, con il parroco di Toropalca, alcuni membri del gruppo giovanile e – potevo dubitare? – Doña Helena pronta a servire caffè caldo e biscotti, per una rapida colazione mattutina. Qualche parola scambiata, il caffè bevuto con gratitudine, una benedizione verso le case del paese, e via di nuovo, verso l’aeroporto ancora lontano.
Delle due Helene non ho saputo più nulla, ed ho dimenticato anche la loro fisionomia. Ma ne ricordo il nome e soprattutto il gesto di squisita carità che hanno compiuto.