La cattedrale cattolica di Belgrado era una chiesa piuttosto piccola. In passato era stata la cappella dell’Ambasciata austriaca, edificio nel quale era allora ospitato, e credo che lo sia ancora oggi, l’Arcivescovo di Belgrado. Monsignor Turk, titolare allora dell’arcidiocesi, mostrava con orgoglio il suo ufficio, dove sarebbe stato redatto l’atto di dichiarazione di guerra tra l’impero Austro-Ungarico e la Serbia nel 1914. La grossa cassaforte lì presente aveva lo stemma della dinastia asburgica.
Ogni domenica, alle 11 del mattino, nella cattedrale si celebrava una Messa in varie lingue, con l’omelia alternativamente in italiano, francese, inglese o spagnolo. La frequenza era molto alta e un buon numero di diplomatici presenti nella capitale si ritrovavano lì. Le conversazioni fuori della chiesa, a celebrazione conclusa, duravano sempre a lungo.
La mia impressione era che molti tra i presenti in chiesa non sarebbero mai andati a Messa, nelle loro città. L’atmosfera di Belgrado, però, era del tutto particolare. I contatti con la popolazione locale erano quasi inesistenti, per la difficoltà della lingua e per l’atteggiamento di sospetto verso gli stranieri, istillato dal regime. Era quindi spontaneo che le relazioni sociali per i diplomatici fossero limitate quasi esclusivamente all’ambiente delle ambasciate. E la Messa internazionale era una occasione della quale si approfittava volentieri.
Più volte, al termine di una cena nella residenza di qualche ambasciatore, ho sentito gli ospiti che si salutavano, dicendo: “Ci vediamo domenica a Messa”. E parlando dei pochi punti di interesse che offriva la città, un consigliere di Ambasciata mi diceva: “Però qui abbiamo la Messa internazionale!”