La prigione di San Pedro, a La Paz, era un edificio del 1800, destinato a ospitare circa trecento carcerati. Quando lo visitai per la prima volta, ne conteneva almeno mille cinquecento. Era diviso in cortili, comunicanti tra di loro, che solo di notte venivano chiusi con cancelli. Le celle, stanze di dimensione diversa, erano sempre aperte. All’interno dei cortili ognuno si sistemava come poteva, a seconda delle possibilità economiche e della volontà delle diverse mafie interne alla prigione.
Durante il giorno, entravano nei cortili venditori di alimenti, in modo che il luogo somigliava più a un mercato che a un istituto di pena. I minorenni, colpevoli di qualche reato, erano detenuti con gli adulti, dato che in Bolivia non esisteva un carcere minorile. L’età minima, in teoria, era di quindici anni, ma di fatto c’erano ragazzi anche più piccoli.
Quando cominciai ad andare al San Pedro per offrire qualche assistenza religiosa, notai che i ragazzi più giovani non si vedevano mai in cappella. La suora che mi assisteva, e che da tempo svolgeva il suo servizio in carcere, mi spiegò che, poco dopo essere entrati in prigione, i ragazzi trovavano qualche “protettore”, dei quali diventavano dipendenti in tutto. E questi, per ovvie ragioni, non permettevano loro di andare in chiesa e di avere contatti con la suora o il sacerdote.
Ma c’era anche dell’altro: un genitore carcerato, che avesse figli piccoli che non poteva affidare a nessuno, li poteva tenere con sé in prigione.
A questo proposito, un episodio che accadde allora sembra esemplare, per illustrare il livello aberrante della giustizia boliviana. Nella città di El Alto, cresciuta attorno all’aeroporto di La Paz, abitava un tale con la figlia, di circa dodici anni. La madre ne n’era andata, e i due vivevano da soli. Qualche vicino denunciò il padre alla polizia, affermando che egli abusava sessualmente della figlia. La polizia prese la storia per buona, e il padre fu portato al San Pedro. Poco dopo, i servizi sociali si resero conto che la bambina era rimasta sola e quindi la condussero dal padre, in modo che questa dodicenne fu affidata al padre, accusato di abusare di lei, all’interno di una prigione con altri mille cinquecento uomini, molti dei quali convinti criminali. Passarono alcuni mesi e, finalmente, la giustizia si preoccupò di verificare il caso. La bambina fu interrogata, e negò di essere stata molestata dal padre. L’esame fisico provò che non c’era mai stata alcuna violenza su di lei. Quindi suo padre era innocente. Ma per arrivare alla scarcerazione, ci vollero ancora un paio di mesi.
E quando finalmente i due tornarono a casa, la bambina era stata violentata, non dal padre ma da uno dei tanti carcerati del San Pedro.