AA.VV., La famiglia parrocchiale nel sogno profetico di Don Stefano Mariotti, 2017.
PREFAZIONE
Chi ha avuto la fortuna di conoscere Don Stefano Mariotti, non lo potrà mai dimenticare.
Non era una persona facile da decifrare. Non che fosse misterioso, tutt’altro. Neppure credo che lo si potesse definire timido, perché mi sembra più corretto dire che era riservato, discreto, umile. Non si esibiva, ma rivelava le sue qualità – e ne aveva tante – poco a poco, quando le circostanze della vita e del ministero lo richiedevano.
Quando divenne parroco del Duomo, come successore di Monsignor Costanzo Micci, fu inevitabile per noi, allora suoi parrocchiani, fare confronti con il suo predecessore, e farli con una punta di delusione, specialmente per la qualità delle omelie domenicali. Don Micci era un maestro della parola, sempre ben preparata, incisiva e presentata con grande efficacia. Don Stefano era invece scarno e povero nell’esposizione. Quelli di noi che si dilettavano di filodrammatica, e si credevano esperti di recitazione, lo giudicavano un attore mediocre. Ma – e non ci volle molto a capirlo – era anch’egli ricco dei contenuti ed esigente nei messaggi che trasmetteva. Ci rendemmo conto ben presto che valeva la pena starlo a sentire.
Accadeva lo stesso nei contatti personali: ci voleva un po’ di tempo per cogliere la ricchezza paterna del suo cuore, che si manifestava in maniera discreta, con parsimonia ma con una grande sincerità e una partecipazione sempre convincente.
Gli anni del Concilio e del post-Concilio hanno segnato profondamente il ministero parrocchiale di Don Stefano. Egli si era già avviato in una linea di maggiore partecipazione laicale, prima ancora che il Concilio emanasse i suoi documenti, attraverso l’adozione dei suggerimenti di Don Paolo Arnaboldi, con il movimento “Fac”. L’ideale di formare della parrocchia una famiglia ha animato tutto il suo servizio pastorale e ha dato una vitalità nuova alla comunità cristiana del Duomo. In essa, come ovunque, si soffriva la crisi per i cambiamenti che viveva la società, ai quali la Chiesa stentava ancora a dare risposte adeguate.
Don Stefano, maestro di vita, è stato per noi anche un maestro nell’affrontare la malattia e accogliere la morte. La serenità con la quale parlava del suo male faceva intuire l’accettazione piena di quello che la Provvidenza gli offriva, affrettando la conclusione della sua storia umana, quando ancora era nel pieno delle sue facoltà e delle sue energie.
Un ricordo, sia pure indiretto: quando ormai era chiaro che la malattia non lasciava speranza di guarigione, e la morte era vicina, Don Vincenzo Solazzi, allora suo vice-parroco, gli disse, con delicatezza, che era ormai ora per lui di fare la volontà di Dio. Al che Don Stefano, sorridendo, rispose: “Mi sembra che sto già facendo la sua volontà”.
Il progetto di raccogliere alcuni ricordi su di lui è stata una scelta quanto mai opportuna, per la quale dobbiamo ringraziare coloro che se ne sono fatte carico. Esse hanno rivelato evidenti sentimenti di stima e di affetto verso questo sacerdote, che, nel suo ministero, ha toccato profondamente il nostro cuore e il cuore di tanti.
In Don Stefano possiamo vedere la qualità bella dei nostri preti, di quelli che ci hanno educati e accompagnati nella difficoltà della crescita e delle scelte della vita. È bello ricordarli e farli ricordare. Anche per mantenere con loro un vincolo di amore e di gratitudine, che si manifesta nella preghiera di suffragio e nel rinnovato impegno di testimonianza evangelica.
Quella che Don Stefano ha vissuto come vero prete e vero santo.