Il P. Charles Stinzy, missionario spiritano alsaziano, era parroco in una località chiamata Zoetelé, che in lingua ewondò significa: “Si è fermato l’elefante”. Aveva invitato il Nunzio Apostolico a visitare la chiesa che aveva costruito, perché voleva che fosse lo stesso Mons. Jadot a consacrarla. Una domenica pomeriggio, il 7 maggio 1972, ci andammo insieme.
La chiesa aveva richiesto dodici anni per essere costruita. Il missionario aveva voluto che fossero gli stessi parrocchiani a farla e che i materiali usati fossero tutti reperibili nella zona. L’unico aiuto esterno era stato quello di un fratello laico, capace di dirigere i lavori e di trovare soluzioni per i molti problemi da risolvere.
L’altare era fatto con un enorme tronco di albero, abbattuto nella foresta circostante. Anche le travi per il tetto erano state ricavate dalla foresta. Le pietre della parete dietro l’altare venivano dal fiume: erano state surriscaldate al fuoco, bagnate poi con acqua gelida si erano spaccate di netto e sono state usate per abbellire la parete absidale.
Ma perché era servito tanto tempo? La gente che lavorava alla costruzione della chiesa aveva capito ben presto che sarebbe stato necessario dare una residenza ai missionari, poi che era utile una scuola per i loro ragazzi, ed un alloggio sicuro per le ragazze che studiavano, e poi un dispensario medico… Mentre la chiesa cresceva, cresceva la comunità e le esigenze più urgenti prendevano la precedenza. Pian piano quella località stava diventando un punto di riferimento dell’intera regione e così è anche ora, con altre opere che sono state aggiunte nel tempo.
Mesi più tardi, ho accompagnato a Zoetelé alcune volontarie italiane. Una di loro ha chiesto al P. Stinzy perché avesse fatto costruire una chiesa così bella per gente molto povera. La sua risposta è stata rivelatrice: “La gente è povera ma ama la bellezza. Hanno voluto una bella chiesa, sono loro che l’hanno costruita e hanno il diritto di averla così”.