Kenneth e la pietra di Nairobi

Kenneth Avlala

Giovanni Putton, imprenditore italiano che aveva già lavorato nella costruzione dell’edificio della Nunziatura, aveva una squadra di lavoratori, esperti nell’edilizia. Alcuni di loro avevano una particolare maestria nel trattare la pietra. A Nairobi si usa una pietra che, per il suo colore tendente all’azzurro, era chiamata “the Nairobi blue stone”. Contrariamente a quello che pensavo, questo materiale, molto bello, costava meno che il mattone.

Quando si decise di usare la pietra per rifare la facciata e il marciapiede della residenza, Putton mi chiese di scegliere se volevo che fosse tagliata meccanicamente dalla ditta che la vendeva, o se preferivo che fosse tagliata a mano. Prudentemente, volli sapere la differenza dei costi, ma il prezzo sarebbe stato lo stesso. Per cui scelsi il taglio a mano, per avere un aspetto più autentico. Putton ne fu contento, perché così i suoi operai avrebbero lavorato di più e quindi guadagnato di più.

Per settimane, il giardino fu invaso da pietre che, a colpi di scalpello, venivano ridotte alle dimensioni necessarie per rivestire la facciata. Il suono dei martelli e degli scalpelli sulla pietra ci ha accompagnato per molto tempo. L’architetto Johnson, che aveva disegnato il progetto, mi diceva che, nell’Europa del Medioevo, quel rumore doveva essere tipico per anni e anni in ogni città nella quale si stava costruendo una cattedrale.

Tra gli operai al lavoro, Kenneth Avlala era il più esperto nel trattare la pietra. Potevo dargli qualsiasi modello, e anche un semplice schizzo, e lo avrebbe riprodotto alla perfezione. Una volta gli chiesi di fare due buchi circolari, di un 20 cm di diametro, nel pavimento di pietra dell’ingresso, per inserirci due cilindri di vetro massiccio, che Nani Croze mi aveva lasciato. Quando gli raccomandai di farli perfetti, in modo che il vetro potesse entrarci ed esserci fissato con appena un poco di cemento, mi guardò sorpreso: “Ma li faccio io!” Come dire che, dalle sue mani, potevano uscire solo cose perfette.

Kenneth superò se stesso quando gli chiesi di attaccare con il cemento in un settore della parete di recinzione alcune pietre decorate, che avevo ricevuto nel corso di varie visite in diocesi e parrocchie. C’era anche un pannello di vetro, con una rappresentazione mal fatta del mio stemma, difficile da interpretare, che di fatto fu sistemata al rovescio. Quando me ne accorsi era sabato e solo il lunedì seguente potei avvertire gli operai dell’errore. Quanto incontrai Kenneth, gli dissi dello sbaglio ma conclusi dicendo che ormai, con il cemento asciutto, era impossibile staccare il pannello senza romperlo. La sua risposta fu: “Per me nulla è impossibile”. E difatti il vetro era già stato staccato ed era pronto ad essere sistemato di nuovo, nel modo giusto. Ho pensato alla frase evangelica: “nulla è impossibile…”, ma ho preferito fare a meno di ricordargli a chi era riferita.