Io e la matematica

Neppure io so spiegarne la ragione, ma un dato di fatto ben chiaro è che, nella mia vita scolastica, il rapporto con la matematica si è interrotto in seconda media, quando avevo tredici anni. Il professore era il vecchio Lambertini, da noi chiamato Tigellino, dal personaggio del film “Quo vadis”. Non so il perché di questo soprannome, dato che tra i due non c’era nessuna somiglianza fisica. Forse lo identificavamo con il personaggio più antipatico del film, proprio perché anche lui ci era antipatico, non tanto come persona, povero vecchio, ma per quello che cercava di insegnarci.

Quando si arrivò alle frazioni, io chiusi i miei rapporti con la materia e da allora in avanti procedetti soltanto con trucchi: copiando i compiti e bluffando agli esami. Non esagero. In terza media, nel compito scritto di matematica avevamo un’espressione da risolvere e io ho capito subito di non saperla fare. Un compagno di classe, che vide la mia disperazione, alzò il suo foglio in modo che lo potessi vedere bene. Copiai tutto, senza neppure chiedermi se potevano esserci degli errori. E fui promosso, grazie alla generosità di Bruno.

In quinta ginnasio, non c’era esame scritto, ma, all’orale, la professoressa mi fece copiare l’espressione già risolta da chi era stato esaminato prima di me, e coprì la soluzione con il braccio. Mentre io facevo finta di cominciare a svolgere il compito, lei si mise a parlare con l’insegnante di francese, che era al suo fianco e, per vedere meglio qualcosa, alzò il braccio in modo che mi fu possibile sbirciare la soluzione del problema. Come avevo fatto in terza media, copiai a tutta velocità, sperando che Mauro non avesse fatto sbagli. Pare che sia stato così, perché anche questa volta fui promosso in matematica, mentre fui rimandato in latino.

Per il resto della mia vita, non ho sentito mai il bisogno di usare frazioni o espressioni di vario tipo. Ricordo però che, tanti anni dopo, mentre ero a Fano in vacanza, mi recai a pranzare alla Paleotta, nella casa che era stata dei nonni materni e dove ora abitava la zia Paolina, sorella di mia madre. Lì erano ospitati mio fratello Francesco con la moglie, Mariuccia, e i loro tre figli. Mentre entravo in casa, sentii Mariuccia che diceva a Stefano, il primo dei miei nipoti: “Adesso lo zio Giovanni ti spiegherà le frazioni”. Fui tentato di richiudere le porta e sparire. Poi mi feci coraggio ed entrai, dichiarando che non avrei insegnato niente: “Le studieremo insieme”. Così feci, e lessi le spiegazioni del libro di scuola insieme con Stefano. Lì per lì, capii tutto e aiutai bene il mio discepolo. La mia trovata sembrò a Mariuccia un ottimo trucco pedagogico, mentre invece nascondeva una reale ignoranza, in quel modo superata brillantemente.

Dopo di allora, ho dimenticato ancora come funzionano le frazioni, ma continuo a vivere felice e ignorante.