Come ho già spiegato, nel mese di agosto del 1970 mi ero recato in Brasile, dove mio fratello don Paolo lavorava come missionario “fidei donum” da ormai cinque anni. La scusa ufficiale per andarci era quella di raccogliere materiale di prima mano per elaborare la tesi di laurea in diritto canonico, che dovevo presentare alla fine degli studi nell’Accademia Ecclesiastica, della quale ero alunno dall’ottobre 1968.
Tra le persone che avevo desiderato incontrare, c’era l’arcivescovo di Recife, Dom Helder Câmara, che era famoso per le sue coraggiose posizioni di denuncia delle azioni del governo in Brasile, dal 1964 nelle mani di una violenta dittatura militare. Come accade sempre in queste circostanze, il vescovo, e gli altri come lui, che denunciavano le evidenti ingiustizie – e parliamo di arresti proditori, persone scomparse, uso generalizzato della tortura, violazione delle libertà individuali – erano indicati come “comunisti” e definiti “rossi”. Dom Helder era quasi per antonomasia “il vescovo rosso”.
Paolo organizzò quindi un viaggio a Recife, che facemmo insieme con due volontarie di una associazione di Bologna, Marisa e Cristina. Andammo in pullman e viaggiammo nella notte tra il 16 e il 17 settembre. L’incontro con l’arcivescovo era fissato per il 18, nel palazzo episcopale, dove Dom Helder lavorava, mentre la sua residenza era in una modesta casa, in un quartiere popolare.
La conversazione fu estremamente spontanea, anche se condotta come una intervista, ripresa al registratore, con domande che si riferivano alla situazione allora vissuta. Il vescovo rispondeva con assoluta serenità, senza manifestare rancore e senza estremismi di ordine ideologico. Si sentiva in lui soltanto un grande spirito evangelico, espresso con uno stile poetico, più da idealista che da sovversivo, come volevano definirlo i suoi oppositori. Ci parlò della necessità di creare delle “minoranze abramitiche”, piccole comunità in cammino, forti soltanto della parola di Dio.
Al termine dell’intervista, chiesi di restare solo con Dom Helder, e gli spiegai la mia situazione: ero stato chiamato per lavorare nel servizio diplomatico della Santa Sede, ma ora, dopo un mese in Brasile, avevo una gran voglia di lasciar perdere quella strada per restare a lavorare con mio fratello. La sua risposta fu decisa: “Vai avanti per la tua strada, è una strada benedetta. Abbiamo bisogno di persone che sappiano far conoscere bene al Papa la situazione delle diverse Chiese nei diversi paesi, e di far conoscere a noi vescovi il pensiero del Papa. Vai avanti, è una via benedetta”.
A chi mi chiedesse la ragione per la quale sono andato avanti nel servizio della Santa Sede, che è stato il lavoro di tutta la mia vita, potrei rispondere, con malcelato orgoglio: “È per colpa di Dom Helder Câmara”.