Ho avuto più volte l’occasione di recarmi in diocesi di Kericho, invitato dal giovane vescovo Philip Anyolo. Credo che tra noi ci sia stata una immediata reciproca simpatia, perché lui mi ha invitato spesso e ogni volta ho accettato volentieri di andare.
Una volta, ho chiesto a Philip cosa significasse la “S” tra il nome e il cognome, che vedevo nella sua firma. Mi spiegò che era l’indicazione del nome tribale, quello cioè che sua madre gli aveva dato subito dopo la nascita: Subira.
Sapevo che questi nomi avevano sempre un significato specifico, e potevano indicare la stagione dell’anno o la condizione climatica del momento della nascita. Per esempio: “Kipng’eno”, nella lingua Kalenjin, significa “al mattino presto”; mentre “Wambua”, nella lingua Kamba, vuol dire “pioggia”. Chiesi allora a Philip di spiegarmi cosa significasse il suo nome. La sua risposta fu sorprendente: “Vuol dire ‘Io credo!’”. Mi stava dicendo che, dopo aver dato alla luce suo figlio, sua madre aveva espresso questa bella professione di fede.
Insistetti allora con il vescovo perché usasse questo nome, così significativo. Al che mi spiegò che, però, Philip era il nome con il quale era stato battezzato. “Va bene, gli dissi, ma vuoi mettere la bellezza di un nome che vuol dire: ‘Io credo’, con l’altro che vuol dire ‘Io amo i cavalli’?”
Da allora, Philip cominciò a firmarsi “Subira”, almeno nella corrispondenza a me indirizzata. Inutile dire che la sua attenzione mi ha sempre fatto molto piacere.