Durante il periodo estivo, ogni anno, come già in Bolivia, fu inviato a Nairobi uno studente dell’Accademia Ecclesiastica, perché potesse vivere un periodo di tirocinio, utile per capire quali sono le attività in una missione diplomatica della Santa Sede.
Una volta, mentre il giovane sacerdote stava svolgendo il suo lavoro, arrivò un camioncino con una capra viva, che mi era stata regalata nella visita ad una parrocchia. Come sempre, in questi casi, dopo aver ringraziato chi aveva portato il dono, affidai l’animale ai giardinieri, che l’avrebbero ucciso e macellato. Era un’operazione che erano abituati a fare con competenza e con soddisfazione, perché a loro sarebbero spettate la testa e la pelle, e inoltre avrebbero ricevuto parte della carne nella loro alimentazione quotidiana.
Dalla finestra dell’ufficio in cui lavorava il tirocinante si poteva vedere la scena e pensai bene invitarlo a scendere per guardare da vicino e forse per scattare qualche fotografia. Sbirciò in giardino per un istante e guardò subito altrove. Credo che non tollerasse la vista del sangue.
A pranzo ci fu servito del fegato arrostito, ma, appena il giovane seppe che proveniva dalla bestia uccisa il mattino, rifiutò di mangiarlo. La sera c’era carne della stessa capra, ma, mentre il cameriere mi serviva, gli sussurrai: “Sema ngombe – digli che è mucca”. Difatti la domanda ci fu e la risposta fu quella, così che questa volta il tirocinante mangiò la carne senza nessuna difficoltà.
A scanso di equivoci, devo precisare che il tirocinante di cui si parla si mostrò fin da allora un ottimo soggetto, intelligente, preparato e simpatico. Poteva non amare scene di sangue, ma è stato pronto a entrare senza timore e con competenza nelle manifestazioni della cultura locale.