Lasciata Londra, in Vaticano fui assegnato alla Prima Sezione della Segreteria di Stato, in un ufficio solennemente chiamato “di informazione e documentazione”. In realtà, quello che dovevo fare, insieme con alcuni altri impiegati, religiosi e laici, era leggere la stampa, nazionale e internazionale, per segnalare articoli di qualche interesse per la Santa Sede.
Ogni giorno componevamo una cartellina, contenente gli articoli con il loro riassunto, che, in fine mattinata, era consegnata al Papa. La cartellina tornava poi all’ufficio, con dei segni di matita blu, che facevano capire che Paolo VI aveva letto la documentazione.
Il Sostituto, Monsignor Giovanni Benelli, era l’efficientissimo responsabile di questa Sezione della Segreteria di Stato. All’inizio, spiegandomi il lavoro che dovevo svolgere, mi chiese di ripensare all’intera organizzazione, in modo che ci fosse una informazione più completa, anche attraverso la collaborazione delle Nunziature.
Studiai la cosa e preparai una nota con dieci punti da sottoporre al Sostituto, e con questa chiesi l’appuntamento per un incontro. Mentre aspettavo nell’anticamera del suo ufficio, potevo ascoltare i toni accesi con i quali egli stava parlando con qualcuno. Erano vere e proprie grida, per cui dissi al segretario che preferivo tornare nella mia sezione e presentarmi un altro giorno, quando l’atmosfera fosse meno agitata. Ma l’appuntamento era stato stabilito e non potei scappare.
Entrando, vidi Benelli rosso in viso ed evidentemente ancora molto innervosito. Comincia a presentare i miei punti. Al primo, rispose con un secco “no”; al secondo e al terzo fu lo stesso. Finalmente, al quarto tema cominciò ad essere più discorsivo e la conversazione continuò tranquillamente fino alla fine. A questo punto, fu lui stesso a tornare ai primi tre quesiti: confermò la risposta negativa, ma con calma me ne spiegò le ragioni.
Un bel gesto, che apprezzai molto e mi confermò nella stima che ho sempre avuto per lui.