Nell’ultimo giorno della mia prima visita in diocesi di Potosì, era prevista una sosta nella caserma di Uncía. I soldati erano schierati nel piazzale e io, con il vescovo, il vescovo ausiliare e il parroco, che agiva anche da cappellano militare, eravamo su una pedana davanti a loro, sotto l’asta della bandiera.
Ci furono alcuni brevi discorsi: del comandante, poi del cappellano e del vescovo e infine, inevitabilmente, fui richiesto di dire “qualche parola”.
Mi ero mentalmente preparato e partii in una presentazione delle parole di Gesù che ci chiede di essere “luce del mondo e sale della terra”. Parlando in spagnolo, insistei soprattutto sull’immagine del sale, dicendo sempre “el sal”, sicuro che, come in italiano, la parola fosse al maschile.
Terminai la mia perorazione, con la netta sensazione di aver detto cose sensate e stimolanti, per i ragazzotti che mi avevano ascoltato con grande attenzione. In definitiva, mi sentii abbastanza fiero di me stesso e pronto a ricevere le felicitazioni dei miei confratelli.
Fatto un passo indietro, per tornare al livello degli altri, sentii il cappellano che mi sussurrava: “La sal, Monseñor, la sal!” Quindi, il sale in spagnolo è femminile! Tutta la mia soddisfazione si disfece in un attimo. I ragazzotti di cui sopra o non avevano capito di cosa stavo parlando o avevano capito che non conoscevo la loro lingua. In ogni caso, la figuraccia era garantita.