Nella missione di un Nunzio, ci sono momenti di particolare difficoltà, specie quando si tratta di dover affrontare direttamente persone che si trovano, o potrebbero trovarsi, in qualche tipo di difficoltà. Ricordo un caso, che è stato per me ragione di tanti dubbi e di lunghe attese, con alla fine gioia e dolore insieme.
Nel 2002, un vescovo chiese di vedermi, per parlare di cose molto delicate. Nel colloquio, mi disse che, secondo informazioni che aveva personalmente ricevuto da una religiosa, uno dei nostri vescovi sarebbe risultato sieropositivo. Me ne disse il nome, che ricorderò come BH, anche se le due lettere non hanno niente a che fare con la persona vera. La notizia mi stupì, dato che nulla, nel comportamento del presule, avrebbe potuto lasciar supporre niente di simile. Del resto, l’informatore meritava fiducia e non era certamente spinto da ragioni di risentimento personale o da qualche forma di gelosia.
Col passare dei giorni, e forse anche delle settimane, mi chiesi se stavo facendo il mio dovere e se non stessi, invece, cercando di evitare di affrontare una situazione che doveva essere chiarita al più presto. D’altra parte, non sapevo proprio come affrontare il discorso: quali parole adoperare, come entrare nel tema, quali soluzioni suggerire, se l’informazione si fosse rivelata vera. Tante cose a cui pensare, e di fronte alle quali mi sentivo semplicemente incapace di scegliere una linea d’azione.
Finalmente mi decisi e incontrai BH. Dopo qualche momento di conversazione, gli dissi la ragione dell’incontro: la voce che mi era stata comunicata e quindi la mia richiesta di spiegazioni.
La sua reazione fu di grande dolore. Non lo vidi sorpreso, né irritato, né offeso, ma soltanto fortemente e profondamente addolorato. Dopo qualche istante, cominciò a parlarmi di sé e della sua famiglia. A differenza di quanto era successo ad altri vescovi e sacerdoti, nati in famiglie ancora animiste, i suoi genitori erano cattolici fedeli. Mi disse quindi dell’educazione ricevuta, del rispetto per i valori evangelici inculcata in lui e nei suoi fratelli dal padre, della sincerità con la quale era entrato in seminario ed era diventato sacerdote. Alla fine concluse: “No. Queste cose non sono per me”.
Mi sentii sinceramente commosso. Mi chiese cosa avrebbe dovuto fare: un esame medico? Gli chiesi di farlo, per tranquillità, anche se per me non sarebbe stato necessario, perché mi fidavo della sua parola.
Passò del tempo, e anzi molto tempo, senza che lo vedessi. Quando, in una occasione qualsiasi, lo incontrai di nuovo, gli chiesi come mai non si fosse più fatto vedere. Mi rispose con semplicità: “Credo che ricordi che il nostro ultimo incontro non è stato dei più facili”. Replicai: “So di averti fatto soffrire, ma vorrei che capissi che anch’io ho sofferto, e molto più a lungo. Però, alla fine eravamo tutti e due molto più contenti”.
Da allora in avanti, BH si fece vedere sempre di meno. Anche se avevo fatto quello che dovevo fare, e potevo essere sicuro che nella vicenda non c’era nulla di quello che, senza ragione, si era sospettato, dovetti capire che, in questo modo, avevo creato una situazione di disagio che lo aveva ferito profondamente. Un prezzo che ho dovuto pagare per non aver fatto altro che il mio dovere.