Nel mese di giugno del 1988, il Patriarca libanese Nasrallah Pierre Sfeir venne negli Stati Uniti per visitare la numerosa colonia maronita. Durante la sua presenza a Washington, il Nunzio Apostolico era assente ed io ero Incaricato d’Affari.
Era previsto che il Cardinale Patriarca celebrasse una solenne liturgia nella Cattedrale di Sant’Andrea il 21 giugno, e fui invitato ad essere presente. Arrivai puntualmente e cercai di prendere posto nel presbiterio. Dico “cercai”, perché purtroppo non c’era per me neppure una sedia. La chiesi più volte, ma il segretario dell’Arcivescovo di Washington, al quale mi rivolsi direttamente, non fece nulla. Restai in piedi durante la prima parte della liturgia della parola, poi mi stancai e, senza salutare nessuno, lasciai il presbiterio e tornai in Nunziatura.
Probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto, ma il Patriarca, nella sua omelia, salutò e ringraziò anche l’Incaricato d’Affari della Nunziatura Apostolica. Mi dicono che in quel momento tutti guardarono dove avrei dovuto essere io, ma non mi trovarono. In conseguenza, il segretario di cui sopra mi presentò più volte le sue scuse, che io concessi benevolmente, ma senza riuscire a dimenticare il suo sgarbo.
Come conseguenza, gli organizzatori della visita cercarono di rimediare all’incidente, invitandomi al grande banchetto che, il giorno dopo, doveva tenersi in un grande albergo della capitale. Ne avrei fatto volentieri a meno, ma dovetti accettare, per non dare l’idea che io fossi ancora offeso per l’episodio in Cattedrale, per il quale, del resto, essi non avevano colpa.
C’era tanta gente, certamente importante e soprattutto benestante. Credo che lo scopo dell’incontro fosse quello di raccogliere fondi per la Chiesa Maronita. Il Patriarca, insieme con alcuni ospiti, aveva la sua grande tavola in un piano rialzato. Anche io ero lì.
Quando la cena si avviava alla conclusione, vidi che i miei vicini stavano tirando fuori dalle loro giacche dei fogli, che cominciarono a scorrere attentamente. Un altro, cominciò a prendere appunti nel suo tovagliolo di carta. Solo allora mi resi conto che ci sarebbero stati discorsi e che, con ogni probabilità, anche io avrei dovuto dire qualcosa. In quel momento sentii il forte desiderio di essere altrove, ma, come necessaria alternativa, tentai disperatamente di farmi venire qualche buona idea per il mio intervento.
Fui invitato a parlare tra i primi e, evitando di seguire la linea seriosa di chi era intervenuto prima di me, cercai di essere spiritoso: giocai sul fatto che, in inglese, il Papa è talvolta ricordato con il titolo di “Representative”, e quindi io, che ero lì al posto del Nunzio, mi trovavo ad essere “il rappresentante del rappresentante del rappresentante”. Non era gran che come idea, ma fece ridere tutti. Aggiunsi qualche espressione di stima per il buon Patriarca e chiusi.
Chi aveva organizzato il tutto si rallegrò con me, soprattutto perché avevo evitato di tenere il discorso in un tono troppo formale. Il Patriarca continuò la sua visita in giro per gli Stati Uniti, e, a quanto seppi, ne ottenne buoni risultati.