Quando in Segreteria di Stato ci fu mostrato il passaporto diplomatico, proprio prima della partenza per le rispettive nunziature, il monsignore responsabile ci spiegò che il documento non riportava nessun dato personale, perché la nostra qualifica di diplomatico suppliva a tutto questo: “L’unica cosa che devono sapere è che voi siete del servizio diplomatico della Santa Sede”.
Ben convinto di questo, quando, il 30 agosto 1971, arrivai a Douala, mi presentai al controllo passaporti con la scheda che avevo ricevuto sull’aereo, in cui avevo scritto nome e cognome e niente altro, barrando tutte le altre domande con un deciso: “Diplomatique”.
L’impiegato che era dietro al vetro sporco dello sportello non era, evidentemente, al corrente di certi nostri privilegi, e mi chiese di fornire le informazioni mancanti. Al che risposi di non poterlo fare, perché ero diplomatico. “Ma almeno la data di nascita!” Negai ancora, e il poveretto, abbassando la testa per vedermi meglio attraverso la parte non protetta e offuscata dal vetro, mi disse: “Mais pourquoi? Vous n’êtez pas une famme! – Ma perché? Non sei una donna!”
A quel punto, scrissi tutto quello che era richiesto, e gli avrei dato anche il numero delle scarpe! E i privilegi del passaporto diplomatico restarono nella bella teoria del monsignore, che conosceva bene il diritto diplomatico, ma probabilmente non si era mai mosso da Roma.