Quando arrivai in Camerun, alla fine di agosto del 1971, la Chiesa locale viveva un momento di particolare difficoltà. Si era già concluso il processo contro il Vescovo di Nkongsamba, Albert Ndongmo, accusato di complotto contro lo stato e di attentato contro la vita del Presidente Ahidjo. C’erano state due condanne, una a morte e una all’ergastolo, ma la prima fu ridotta a una seconda sentenza di detenzione a vita.
La gestione del Nunzio precedente era stata poco accorta: si era completamente fidato delle assicurazioni a lui fornite dal Presule e quindi, contando sulla sua abilità dialettica, aveva messo in difficoltà, e persino umiliato, i suoi interlocutori che però, appena possibile, si erano vendicati su di lui, rendendo impossibile la continuazione della sua missione.
Monsignor Jadot, trasferito dalla Thailandia, aveva una grande esperienza africana, avendo trascorso dieci anni in Congo Belga, come responsabile dell’Ordinariato Militare, ruolo che aveva mantenuto ancora per qualche tempo dopo l’indipendenza del paese.
Da quando Monsignor Ndongmo era stato arrestato e messo in prigione, nessuno aveva potuto incontrarlo, o forse dovrei dire che nessuno aveva chiesto di incontrarlo. Anche i suoi confratelli vescovi, e l’arcivescovo di Yaoundé in particolare, avevano nei suoi confronti un atteggiamento ostile, dato che in passato egli aveva cercato di ottenere la benevolenza del Presidente, mettendo in cattiva luce proprio Monsignor Zoa. Si sapeva solo che il Vescovo era detenuto in un campo di concentramento a Tcholliré, nel nord del paese.
Il Nunzio riuscì ad avere buoni rapporti con il Presidente Ahidjo e, a suo tempo, riuscì a ottenere il permesso di recarsi a visitare il Vescovo prigioniero. Vi si recò una prima volta, portando con sé qualche indumento e altri generi di immediata utilità. Tornato a Yaoundé, preparò una grossa spedizione, soprattutto di libri, perché Ndongmo, per più di un anno, non aveva avuto altra lettura che un piccolo libro del Nuovo Testamento. Si era dedicato a scrivere le sue riflessioni in commento alle lettere di San Paolo e aveva riempito con esse interi quaderni. Non so quale fine abbiano fatto i suoi scritti.
Una cosa che mi aveva incuriosito era stata la sua richiesta di avere libri con esercizi di matematica. Pare che avesse una particolare capacità in questo campo, ed amava risolvere problemi con lo stesso gusto con cui altri possono dedicarsi a risolvere i cruciverba.
Monsignor Jadot riferì il suo incontro in una riunione della Conferenza Episcopale, e rimase molto amareggiato nel vedere che nessun vescovo aveva espresso solidarietà con il prigioniero, né aveva chiesto ulteriori informazioni su di lui. Anche quando il Nunzio disse che sarebbe presto tornato a Tcholliré, nessuno lo incaricò di portare a Ndongmo i suoi saluti. Solo uno dei vescovi lo fece, più tardi e quando era solo con il Nunzio.
Più tardi, quando Monsignor Jadot era già negli Stati Uniti e io ero a Londra, Monsignor Ndongmo fu graziato e inviato in esilio in Canada. Più tardi ottenne il permesso di fare visita in Camerun, dove tornò due volte. Nel 1992 morì in Canada.