A partire dal settembre 1990, come conseguenza di qualche sforzo eccessivo, provai un forte mal di schiena, che mi rendeva difficili i movimenti e doloroso specialmente il chinarmi.
Le indagini dei medici di La Paz non diedero risultati sicuri. Ci furono ipotesi diverse e diversi tentativi di cura, ma niente riuscì a risolvere la situazione. Dato che la mia condizione era evidente, ci furono anche suore che presentarono soluzioni particolari: massaggi con alcol in cui erano state macerate foglie di coca; sadiche manipolazioni dei piedi, dolorosissime ma inutili; uso di attrezzi specificamente inventati per eliminare i dolori. Esperimenti avventurosi, ma incapaci di portare qualche miglioramento.
Nel frattempo, continuavo il mio lavoro, che diventava difficile soprattutto nei viaggi per visitare le diocesi e presiedere le celebrazioni. Dopo mesi di disagi e sofferenze, mi fu suggerito di andare fuori dalla Bolivia, per eseguire una risonanza magnetica, che lì non esisteva ancora. Scelsi di tornare negli Stati Uniti, dove rimasi, ospite della Nunziatura di Washington, dal 21 aprile al 1° maggio 1991. Ero andato nella speranza di poter contare ancora sull’assistenza medica di cui avevo goduto, quando vi prestavo servizio come consigliere. Non fu così, e quindi dovetti pagare somme rilevanti, ma almeno la diagnosi fu chiara e altrettanto chiare furono le indicazioni per ottenere la guarigione o almeno per gestire la situazione.
Si trattava di una piccola ernia del disco, impossibile da percepire senza la risonanza magnetica. A parere dei medici di Washington, quello che mi era stato fatto in Bolivia, pur senza la conoscenza esatta della causa del dolore, “mi aveva fatto bene e, soprattutto, non mi aveva fatto male”.
Escludendo a priori l’intervento chirurgico, mi fu prescritto un mese di immobilità, sdraiato su un letto duro, con la possibilità di alzarmi per mangiare, lavarmi e celebrare Messa. Non fu semplice, ma neppure troppo difficile. Con un po’ di organizzazione, riuscii a continuare il lavoro di ufficio, appoggiando la tastiera del computer in una specie di leggio, che tenevo sul petto.
Di fatto, alla fine del mese, potei tornare alla vita normale, senza bisogno di altre cure. Mi era stato però raccomandato di dormire sempre su letti duri. In casa, fu facile rimediare, ma più difficile fu farlo quando ero in viaggio, e dovevo adattarmi a quello che trovavo. Mi aggiustai ogni volta, dormendo su tavoli o su panche o in terra.
Nel seminario nazionale di Cochabamba, il rettore vide in terra la coperta che avevo usato per dormire, e si commosse. Nel giro di poche ore, la camera nella quale ero alloggiato fu fornita di un materasso ortopedico.