Quando, nel 1982, mi fu offerto di compiere un viaggio negli Stati Uniti, posi tra le mete che avrei voluto visitare anche la città di Salt Lake City, nello stato dello Utah, dove si trova la maggiore concentrazione dei membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, più semplicemente chiamati Mormoni.
Il 18 aprile volai da Washington a Salt Lake City, dove rimasi tre giorni. Ebbi a mia disposizione una copia di anziani coniugi, che mi accompagnarono nelle diverse visite e fui invitato a cena presso una famiglia, con un buon numero di figli. Ricordo che la preghiera prima del pasto fu detta dal bambino più piccolo, che appena riusciva a parlare. Di fatto non sono riuscito a capire nulla di quello che disse, ma potei notare, con disagio, che nel suo comportamento non c’era nulla di spontaneo e di infantile.
Mi fu possibile visitare il centro amministrativo della Chiesa, dove verificai se, nell’archivio genealogico che i Mormoni stanno formando da anni, ci fosse qualcosa riguardante la mia famiglia. Il risultato fu negativo. L’ingresso al Tempio – il loro luogo di culto – non è permesso a chi non è membro della Chiesa, e quindi lo vidi solo da fuori. Entrai invece nel Tabernacolo, che è un grande teatro, con un organo immenso e molto famoso, con cinque tastiere e più di 11.000 canne. Ogni giorno, alle 12.00 vi si tiene un concerto di mezz’ora, e mi fu permesso assistervi, seduto vicino all’organista. Nello stesso Tabernacolo andai una sera, per il primo incontro del coro, dopo un periodo di vacanze. Ci furono saluti e discorsi e, alla fine, per sgranchire le voci dei coristi, il maestro diresse l’alleluia dal Messia di Händel.
In quell’anno, il programma lanciato dal loro Profeta – il primo degli apostoli, con una autorità simile a quella del Papa – era: “Siate preparati”, il che significava che ogni famiglia doveva provvedersi di riserve alimentari per poter sopravvivere per due anni, in caso di qualche cataclisma. Le persone che visitai non erano ancora giunte a compiere del tutto il programma, ma avevano già un anno intero di completa autonomia.
Nel “Bishop’s Storehouse”, un grande magazzino a disposizione dei più poveri, c’era una equivalente quantità di riserve. I parroci – che lì hanno il titolo di Bishop – preparavano con i bisognosi un elenco dei prodotti, a seconda delle loro necessità, e con questo si riceveva tutto senza dover pagare nulla.
Partendo da Salt Lake City, il 22 aprile, mi fermai per una visita all’Università di Provo, anch’essa gestita dai Mormoni. In esso ha sede anche la scuola di preparazione dei missionari. Ebbi un incontro con un gruppo di giovani, il cui primo interesse era quello di partire per la missione. Le spese per un’impresa del genere, che li avrebbe portati per due anni fuori dagli Stati Uniti, erano sostenute da ciascuno di loro, e, fin da piccolissimi, i ragazzi erano educati a mettere da parte il denaro necessario. Un paio di universitari erano stati in Italia, ma, a distanza di poco tempo, non ricordavano nessuna parola in italiano.
Durante la cena con alcuni professori dell’Università e le loro mogli, una signora mi disse che era riuscita a convertire un prete cattolico, diventato mormone. Sembrava intenzionata a tentare lo stesso con me, e allora, ridendo, le dissi che poteva provarci. Credo che capì che era meglio soprassedere.
Mentre ero ancora a Roma, in Segreteria di Stato, fui avvertito che un gruppo di mormoni era in visita nella città. Andai a incontrarli ed ebbi la sorpresa di trovare tra di loro i due coniugi che mi avevano accolto a Salt Lake City.
Cinque anni dopo, quando era in servizio alla Nunziatura di Washington, conobbi una anziana signora, di origine francese ma stabilita da anni negli Stati Uniti. Suo figlio, sposato con una donna mormone, si era convertito a quella religione e rifiutava ogni aiuto alla madre, esigendo che anche lei facesse lo stesso passo. La povera donna non aveva nessuna intenzione di lasciare la sua fede, ma soffriva nell’abbandono e nella povertà più assoluta. La visitai più volte, ma, dopo aver lasciato Washington, non ebbi più sue notizie