I famosi 75 anni

Poco dopo la conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, Paolo VI emise un motu proprio con il quale stabiliva che, allo scadere dei 75 anni di età, i vescovi dovevano presentare al Papa la loro rinuncia alla direzione della sede episcopale e quindi, tanto per intenderci, andare in pensione.

Da allora, anche se con qualche fatica, questa è diventata la prassi normale per tutti, ma, mentre alcuni accolgono con gratitudine questa possibilità, altri la vedo avvicinarsi con paura: cosa fare una volta fuori dalle responsabilità e, soprattutto, fuori dall’autorità? Di qui il tentativo ripetuto da molti di far capire che la loro salute è ancora buona e il desiderio di lavorare è ancora tanto, e quindi per suggerire che varrebbe la pena di dare loro ancora qualche anno di grazia e di buon servizio.

In certi casi, si aveva l’impressione che questa norma fosse usata da chi doveva decidere come un modo per far capire l’apprezzamento o meno verso una persona: quasi una lavagna come ai tempi di scuola, in cui si scrivevano i nomi dei buoni e dei cattivi. Quelli che erano nelle grazie di chi era in comando ottenevano un paio d’anni di permanenza; quelli che al contrario erano considerati negativamente erano allontanati subito, qualche volta prima ancora di aver finito di scrivere la loro lettera di rinuncia.

Ricordo un caso molto speciale, accaduto negli Stati Uniti, negli anni in cui ero a Washington. Un vescovo particolarmente importante, un po’ per ragioni di origine etnica e un po’ per la sua ben nota generosità verso la Santa Sede, presentò le sue dimissioni, facendo presente che, in un paio d’anni, si avvicinava per lui il 50° anniversario dell’ordinazione presbiterale, occasione particolarmente bella da vivere insieme con il suo clero e l’intero laicato della diocesi. Il prolungamento fu concesso. Passato quel tempo, lo stesso vescovo fece sapere che, in ancora qualche mese, si sarebbero completati i lavori di ristrutturazione del seminario diocesano, ai quali egli si era dedicato con grande impegno. E anche questo nuovo periodo di attesa fu concesso.

A questo punto, un giovane sacerdote in servizio presso la Conferenza Episcopale disse che, per la prossima volta, il presule avrebbe chiesto il permesso di celebrare ancora in diocesi l’anniversario della sua prima comunione! La battuta mi piacque molto, ma mi resi conto che, da parte di altri, era stata considerata molto impertinente e di cattivo gusto. Per cui tenni per me il mio apprezzamento.