Per qualche tempo, dopo il mio arrivo a Londra, Mons. Heim si rivolse a me con il titolo di Monsignore. Dopo un po’, dovetti confessare che, per quanto ne sapevo, non ero ancora stato promosso a questo rango. Ne fu sorpreso: “Ma perché? Che cosa ha fatto?” Spiegai che a mia conoscenza non avevo fatto niente di male, ma le norme, emanate non so quanto tempo prima, richiedevano che per il primo passo nel cammino delle onorificenze, come Cappellano di Sua Santità, era necessario aver raggiunto i 33 anni di età, che io ancora non avevo.

Il Delegato non era d’accordo: “Qui a Londra è necessario essere Monsignore. Scriva subito a Mons. Benelli per spiegarlo e chiedere che le diano subito il titolo. Poi il rapporto lo firmo io”. Schivai la richiesta: Benelli avrebbe capito che la lettera l’avevo comunque scritta io, e la cosa non sarebbe stata molto elegante. Se proprio ci avesse tenuto, sarebbe stato meglio che scrivesse lui direttamente al Sostituto. Così la cosa rimase in sospeso, in attesa del 33° compleanno.
Il che, secondo le leggi della natura, accadde a suo tempo e, il 1° febbraio 1975, la lettera per la mia nomina arrivò a Mons. Heim, che mi diede subito l’istruzione di andare a Roma per farmi fare la veste filettata. Anche in questo caso interpretai diversamente l’esigenza e chiesi a mia madre di sistemare adeguatamente la veste fatta poco tempo prima dell’ordinazione presbiterale. Usata pochissimo, poteva essere fornita di bottoni e filetti violacei e fare la sua bella figura.
Mia madre andò a Roma, spiegò la situazione a uno dei sarti ecclesiastici della capitale e tornò a casa con tutto il necessario. Nel giro di un paio di settimane ebbi la mia filettata, che usai in ogni circostanza richiesta. E va detto che, a Londra, le circostanze erano veramente tante.
Aggiungo, tra parentesi, che dovetti notare il cambio di atteggiamento nei miei riguardi dei nostri collaboratori in Delegazione: all’improvviso non sembravo più il ragazzino di bottega e avevo persino l’impressione che mi stessero prendendo sul serio. E meno male!
Ma la mia veste filettata ebbe una storia molto più lunga. Tornato a Roma, rimase per lo più nell’armadio, ma ebbe il suo momento di gloria quando, nell’estate del 1978, con gli altri diplomatici della Segreteria di Stato, dovetti prestare servizio protocollare alle celebrazioni di funerali e intronizzazioni di due Papi. E in quella circostanza, è, per così dire, cascato l’asino.
Mi presento in Piazza San Pietro con la filettata e Faustino mi apostrofa: “Cosa fai tu con i bottoni e i filetti da Prelato?” Per la prima volta, mi rendo conto che il colore di bottoni e filetti è diverso a seconda del livello, e io, per anni, ho indossato l’abito da Prelato, mentre ero soltanto Cappellano.
Per quella volta, abbiamo fatto finta di nulla. Poi, quando la situazione vaticana si è stabilizzata, la veste è tornata nell’armadio.
Quando poi sono stato trasferito in Jugoslavia, la nomina a Prelato è arrivata e la filettata ha trovato la sua legittimità. Ed ha fatto un servizio ancora lungo, perché l’ho usata ancora negli Stati Uniti e quindi anche in Bolivia, dove è stata la veste di battaglia per tanti viaggi. Dopo di che, ha meritato di essere messa definitivamente da parte e, sinceramente, non so che fine abbia fatto.