Secondo concerto
Giulio Mercati, Organo – Luca Braga (Fabio Arnaboldi),
Violino – Andrea Sacchi, violoncello
Loreto, 28 luglio 2009
Non so quale sia stata la ragione per la quale siano stati scelti questi due artisti, per il programma di questo concerto. È difficile immaginare due persone più diverse tra di loro. Il primo, il tedesco Richard Wagner, era famosissimo già nel suo tempo; il secondo, Josef Gabriel Rheinberger, nato nel Liechtenstein, per molti, o meglio diciamo per quelli che condividono la mia ignoranza in cose di musica, era del tutto sconosciuto fino a pochi giorni fa; fino a quando cioè ho letto il programma e, come Don Abbondio dei “Promessi sposi”, mi sono chiesto: “Chi era costui?”
Wagner, di cui abbiamo ascoltato la trascrizione per organo dell’Ouverture dei “Maestri Cantori di Norimberga”, era un artista inquieto, convinto della propria genialità e deciso a imporre le sue nuove visioni dell’arte teatrale e musicale. Per questo visse lunghi momenti difficili, in vera povertà ed accompagnato dall’incomprensione del pubblico; e quando conobbe il successo, anche grazie alle potenti protezioni su cui poté contare, assunse uno stile di vita principesco, molto dispendioso e frequentemente fallimentare. Va anche detto che se è vero che Wagner è uno dei grandi geni della musica, la sua opera, nella sua totalità, è ben poco conosciuta, almeno in Italia. Non è facile per noi entrare nella tematica, tipicamente teutonica, delle sue grandi e lunghissime opere. Il mondo leggendario delle popolazioni tedesche, dei tempi mitici che precedettero il contatto con il resto dell’Europa e con il Cristianesimo, rimane per noi lontano ed anche estraneo. Per cui, in molti casi, la nostra conoscenza delle sue opere si limita ad alcuni brani, come, tanto per fare un esempio, la famosa “Cavalcata delle Walkirie”, usata a proposito e a sproposito anche nel cinema.
L’altro artista, Josef Gabriel Rheinberger è certamente meno conosciuto di Wagner, ma, per quello che sappiamo di lui, ci sembra più vicino: cittadino del piccolo principato mitteleuropeo del Liechtenstein, divenne fin da piccolo – a 7 anni – organista della chiesa parrocchiale di Vaduz. Andato a Monaco di Baviera per studiare al Conservatorio, divenne professore di pianoforte e di composizione, e fu compositore prolifico. Compose dodici Messe, un Requiem e uno Stabat Mater. Le sue opere, sinfonie e brani di musica corale e da camera non sono ricordate, ma le sue composizioni per organo, molto impegnative, sono ancora considerate belle e importanti nella storia della musica.
Mentre leggevo la biografia di questo compositore, mi sono ricordato di una frase che, poche settimane or sono, mi ha detto il Maestro P. Armando Pierucci, Francescano Minore, che è da anni organista nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, dove appunto ci siamo incontrati. Gli avevo chiesto se voleva venire a Loreto, per suonare per noi in un concerto, e mi ha detto: “Ormai io non faccio più concerti: la musica, in chiesa, deve essere solo per accompagnare le celebrazioni liturgiche”. In un serto senso, ma solo in un certo senso, penso che P. Armando abbia ragione: l’edificio della chiesa è fatto per il culto, l’organo è uno strumento pensato per la chiesa, e quindi l’uso fondamentale della musica organistica è quello di accompagnare le celebrazioni liturgiche.
Il fatto che il compositore di cui parliamo, Rheinberger, abbia scritto tante Messe lo conferma: una Messa può anche essere eseguita in un concerto, ma la sua destinazione normale è proprio quella di essere suonata e cantata durante la celebrazione liturgica, per sottolineare, con solennità e bellezza, lo svolgimento dei riti sacri.
Mi chiedo, però, se, detto questo, si sia già esaurita la questione, decidendo che in chiesa i concerti non servono e, anzi, sono fuori posto. Non c’è dubbio che il tempio è fatto soprattutto per le celebrazioni liturgiche, ma non è usato esclusivamente per questo. Lo spazio sacro è un luogo in cui ci soffermiamo in silenzio, in cui ci raccogliamo per meditare, in cui contempliamo la bellezza delle opere d’arte che lo decorano e che, se queste sono davvero belle e quindi comprensibili, esse stesse ci aiutano a entrare nel mistero di Dio e del Suo piano di salvezza.
Le emozioni profonde che può suscitare in noi una esecuzione musicale sono un modo per innalzare la nostra mente e il nostro cuore alla contemplazione di Dio, che è bellezza e origine di ogni bellezza e di ogni armonia. Quando ascoltiamo la musica, anche se non siamo degli intenditori, noi entriamo in un dialogo che si svolge tra il compositore e l’esecutore o gli esecutori. Il primo ha affidato i suoi sentimenti e le sue emozioni alle note scritte sul pentagramma, i secondi ne raccolgono i suggerimenti, ma li interpretano secondo la loro propria sensibilità e la loro abilità, in modo che una esecuzione non è mai identica ad un’altra e non è mai solo e soltanto la ripetizione di quello che il compositore intendeva fin dal principio.
La musica, potremmo dire, nasce nel cuore del compositore, il quale usa la sua fantasia e le sue capacità tecniche come degli argini al cui interno scorrono e si esprimono le sue emozioni. L’interprete, a sua volta, diventa il mediatore di questo linguaggio, e ce lo propone attraverso le sue proprie qualità tecniche e la sua sensibilità artistica.
Ma, alla fine, tutto questo lavoro, che richiede grande maestria e lungo esercizio, deve giungere a trasmettere a noi, spettatori e ascoltatori, qualcosa delle emozioni che hanno ispirato la composizione e poi hanno suggerito agli esecutori la volontà di fare propria la composizione originaria e di proporla al nostro ascolto. Di fatto, grazie alla nostra partecipazione, il dialogo tra compositore ed esecutore deve trasformarsi, e diventare una conversazione aperta.
Possiamo essere anche totalmente ignoranti e non sapere nulla di note, di ritmi e di registri. Ma siamo noi quelli che ricevono il risultato di questa mediazione, che fa giungere a noi una voce che è allo stesso tempo sottile e potente, e che fa nascere anche in noi dei sentimenti, più o meno complessi, più o meno facili da esprimere. Quando, alla fine di un pezzo musicale, riusciamo semplicemente a dire: “È bello”, oppure solo: “Mi è piaciuto”, noi rispondiamo ad uno stimolo che ci è stato offerto ed assicuriamo agli artisti che il loro sforzo è riuscito. Altri potranno esprimere le loro sensazioni in maniera più elaborata e sapiente, e valutare l’efficacia dell’interpretazione e la maestria dell’esecuzione. Ma si sa: “Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur” – ogni cosa che viene ricevuta, viene ricevuta secondo la capacità di chi la riceve.
Il godimento di un pezzo di musica non è riservato solo agli intenditori: anche chi sa poco di arte musicale può e deve godere della bellezza di una composizione. Del resto, ogni manifestazione d’arte, musicale o plastica, deve essere comprensibile immediatamente. Chi conosce i segreti del mestiere potrà cogliere dettagli che altri non percepiscono, ma tutti possono e devono essere capaci di apprezzare la bellezza, senza aver bisogno di una lunga spiegazione. Non tutti, del resto, possono permettersi il lusso di avere a loro disposizione un critico d’arte che, a richiesta, dia le sue interpretazioni a chiunque desideri ascoltarle.
Prepariamoci dunque ad ascoltare questo secondo pezzo del concerto di questa sera. Si tratta di una suite per organo, violino e violoncello. La ricchezza dei tre strumenti si unisce in una combinazione originale, che metterà a dura prova l’abilità di esecuzione dei tre Maestri: Luca Braga, Andrea Sacchi e Giulio Mercati.
Il pezzo dura circa 37 minuti. Lo ascoltiamo con attenzione, ricordando che, nel ricevere queste sensazioni di bellezza e di armonia noi apriamo il nostro cuore alla presenza di Dio, e quindi, che ne siano o no coscienti il compositore e gli esecutori, vivremo una esperienza profondamente spirituale e, in definitiva, un momento di meditazione e di preghiera. Diciamo quindi, in conclusione: un concerto può avere il suo posto in chiesa. Se c’è bellezza, se c’è armonia, se c’è impegno e creatività: tutto questo è segno della presenza di Dio, attraverso l’abilità artistica di noi creature.