Durante gli anni del mio servizio in Segreteria di Stato, mi era stata chiesta una collaborazione con un Centro Catechistico sperimentale, intitolato a Costanza Doria, fondatrice di una associazione laicale dedicata alla catechesi. Tenevo degli incontri di formazione per i catechisti, tutte ragazze, e celebrazioni sacramentali per i bambini.
Tra gli alunni del Centro Catechistico, c’era un ragazzino di origine indiana. Dopo aver avuto un primo figlio, ai genitori era stata diagnosticata una rara forma di infertilità successiva. Per cui, a distanza di qualche anno, avevano adottato Emilio, dall’India, e poi Stefano, dall’Africa.
Quel giorno, avevo celebrato una Messa nella cappella del Centro, con il gruppetto che aveva ricevuto da poco la prima comunione. Dopo la comunione, mentre stavo ponendo la pisside nel tabernacolo, chiesi ai bambini se sapevano cosa fosse quella specie di cassetta dietro l’altare.
La risposta fu immediata: “È il tabernacolo”. Al che replicai: “E che cosa è il tabernacolo?” Dopo qualche istante di pausa, uno disse: “È il posto dove c’è Gesù”.
Nuova domanda: “E cosa fa Gesù nel tabernacolo?” Uno di loro disse: “Gesù aspetta che noi veniamo da lui”. Un secondo: “Gesù aspetta che veniamo a pregare”. Un terzo: “Gesù aspetta che veniamo per fare la comunione”.
Al che il piccolo Emilio si è alzato e, rivolgendosi non a me ma ai suoi compagni, ha detto: “Ma allora il tabernacolo è una sala di aspetto!”
Non mi è rimasto altro da fare che sottolineare quella sua intuizione e ringraziare il Signore che rivela la sua verità ai piccoli e la nasconde ai sapienti e ai dotti.