19 marzo 2013 – Solennità di San Giuseppe
Giuseppe, il santo che celebriamo oggi, è uomo di obbedienza. Aveva scelto una vita semplice, dedicata al lavoro, alla lode a Dio e a quella che era destinata ad essere sua moglie, che egli amava più ancora di se stesso. Dio è entrato direttamente nella sua vita, come è entrato in quella di Maria, e lo ha destinato a compiere una missione di grandissima portata: quella di essere il protettore del Figlio incarnato di Dio, di cui Maria doveva essere la Madre Vergine. In un primo momento, che ci è testimoniato dal Vangelo, Giuseppe aveva pensato di non poter restare vicino a persone così sante, portatrici di un progetto troppo alto per lui. Ma Dio, attraverso il suo messaggero, lo ha incoraggiato e gli ha chiesto di non tirarsi indietro. Giuseppe ha obbedito ed è stato strumento docile nella mano redentrice di Dio. Tutti dobbiamo essergli grati, perché la nostra salvezza, in qualche modo, dipende anche dal suo gesto di obbedienza.
Anche Jorge Mario Bergoglio appare a noi come uomo di obbedienza. Anche lui aveva accolto dalle mani di Dio una missione di servizio pastorale ad una grande porzione del Popolo di Dio, in un continente che è lontano da qui, ma che, per tante ragioni, è molto più vicino del nostro allo spirito del Vangelo. Attraverso la scelta dei suoi fratelli Cardinali, in quel tempo di preghiera e di ascolto dell’ispirazione dello Spirito che si chiama il Conclave, Dio gli ha fatto capire che quello che aveva compiuto fino ad allora non era sufficiente. Gli si chiedeva altro e un altro molto esigente. Per questo Jorge Mario è diventato Papa. Ha capito la grandezza del peso che gli era affidato, e l’ha accettato in spirito di servizio, con la semplicità e l’umiltà di colui di cui ha preso il nome.
Così, come Simone è diventato Pietro; come Karol è diventato Giovanni Paolo; come Joseph è diventato Benedetto; così anche Jorge Mario è diventato Francesco, ed è cambiato radicalmente: perché ha ricevuto una nuova missione, e con essa una nuova identificazione. Quando Gesù ha detto a Simone che l’avrebbe chiamato Pietro, e cioè Roccia, voleva che il suo discepolo capisse che quello che gli chiedeva era di essere il fondamento solido su cui la nuova comunità dei credenti, la Chiesa, doveva essere edificata. La Provvidenza, attraverso ispirazioni diverse, ha suggerito a quello che è stato Cardinale Arcivescovo di Buenos Aires, ma che ora è stato eletto Vescovo di Roma, di chiamarsi Francesco. Con questo, la Provvidenza voleva che tutti sentissero un desiderio di novità, con una proposta di spiritualità, vissuta nella preghiera e in spirito di povertà e di semplicità, di attenzione ai più deboli e poveri e con un richiamo forte all’atteggiamento di misericordia. Ma tutto questo vissuto nella linea di azione di Francesco, il poverello di Assisi, che è stato un rivoluzionario all’interno della Chiesa; un riformatore nella fedeltà alla Chiesa; un innovatore nella scia della tradizione perenne della Chiesa.
Papa Francesco, con le sue parole semplici e chiare e con i suoi gesti immediati, ci chiama tutti alla nostra responsabilità. Ora non è più un Vescovo Argentino, ma è il Pontefice Romano, perché il suo primo titolo, quello che giustifica tutti gli altri, è di essere Vescovo di Roma. Nessuno, si capisce, potrà mai eliminare le radici di sangue, di educazione e di cultura che ci sono date dal luogo di origine, dalla famiglia nella quale siamo nati, dalla lingua che abbiamo imparato e con la quale esprimiamo al meglio i nostri pensieri, dall’esperienza di vita che abbiamo condotto e che ha marcato profondamente il nostro intimo, per far capire a tutti chi siamo e perché siamo così. Ma il Papa di oggi non è definibile con una nazione o con un continente, nello stesso modo in cui Papa Giovanni Paolo II non era stato chiamato perché polacco né Papa Benedetto era stato chiamato perché tedesco. Ognuno di loro è salito alla cattedra di Pietro perché era la persona giusta al momento richiesto, per essere Pastore di Roma e quindi della Chiesa Universale.
Fa piacere vedere che il nuovo Papa, l’uomo giusto per questo momento, ha trovato un’accoglienza immediata e cordiale. È bello rendersi conto che i suoi gesti sono apprezzati. Ma ricordate bene: siamo solo agli inizi, e dopo gli “Osanna” possono arrivare i “crucifige”. Già ci hanno provato, con accuse che, agli occhi di chi le presentava, erano gravissime. Non mi riferisco alle bugie sul periodo della dittatura militare in Argentina. Quelle erano calunnie malevole, facili da smentire. Ma dico di chi ha già ricordato che Francesco è un conservatore, perché ha affermato i valori del Vangelo, ha chiesto il rispetto della vita, ha difeso la dignità del matrimonio! Sta vedere che adesso, per andare di moda, toccherà inventare un Vangelo accorciato e aggiustato, con una scelta attenta di quello che è “politicamente corretto” e che quindi sta bene dire, e quello che invece è meglio tacere. Grazie tante: di ipocrisie del genere ne conosciamo già abbastanza in altri campi della nostra vita sociale. Che almeno la Chiesa continui ad essere vera e coerente con la sua missione. E chi non ci sta, dica quello che vuole, ma riconosca, almeno che la Chiesa non si mette in vendita per una facile popolarità.
Papa Francesco fa appello alla nostra preghiera e, con la sua stessa presenza, ci invita alla fedeltà. Noi ringraziamo il Signore per avercelo dato, in questa celebrazione eucaristica, che è già di per sé un gesto di comunione con il Papa e con la Chiesa intera. In questa occasione di grande gioia, del tutto eccezionale, che stiamo celebrando, abbiamo sospeso la tradizione del Quaresimale. Nella riscoperta dei segni della Pasqua, oggi avremmo dovuto riflettere sul segno del pane, con cui Dio, nel corso della storia sacra, ha alimentato il suo popolo. Il segno del pane ci conduce alla sera del Giovedì Santo, con l’ultima cena e l’istituzione dell’Eucaristia; ci accompagna al Calvario, dove possiamo capire il senso delle parole di Gesù: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi; questo è il mio sangue, versato per voi”; ci porta poi di fronte alla tomba vuota, per farci capire che il Gesù con il quale entriamo in comunione nell’Eucaristia non è un morto, ma è il Cristo vivo, vincitore della morte, che è risorto e vive per sempre nella gloria del Padre.
Il pane ci parla di provvidenza e ci impegna alla condivisione. Il pane, nella nostra tradizione più bella, è qualcosa che non si spreca e non si butta, perché è in se stesso qualcosa di sacro. Il pane è qualcosa di buono per antonomasia: diciamo: “Buono come il pane!” Il pane è un segno di comunione con Dio che ci nutre; è un segno di comunione con i fratelli che si nutrono con lo stesso cibo e che, come noi, hanno bisogno di questo pane quotidiano. Il pane dell’Eucaristia è un segno di comunione con il Vescovo di Roma, che ricordiamo sempre nella preghiera eucaristica ed evochiamo con il breve rito della frazione del pane, che, attraverso una serie di passaggi storici e cerimoniali, ci indica l’unità con il Capo visibile della Chiesa. Nella realtà della Chiesa come Corpo Mistico di Cristo, il Vescovo di Roma è il principio di unità tra tutti i fedeli, un’unità fatta di condivisione di fede, speranza e carità. Il Papa che, in nome di Cristo, guida il suo popolo nel pellegrinaggio verso il Regno, compie un servizio indispensabile che ci garantisce che, in queste realtà così importanti, noi non possiamo camminare nel buio e non possiamo essere ingannati. La comunione con Pietro ci dona la sicurezza di essere in comunione con Dio.
Ora immagino che tutti abbiamo nel cuore una domanda, dato che – siamo sinceri – come loretani siamo stati viziati dai Papi precedenti. E ci chiediamo: “Quando Papa Francesco verrà a Loreto?” Capite bene che a questa domanda, o meglio a questo desiderio, non c’è per ora nessuna risposta. Ma non basta chiederlo, né basta desiderarlo. Il pensiero c’è e ci dovrà essere. Ma lasciatemi dire, in tutta semplicità: cerchiamo di meritare un evento del genere. Che quando il Papa voglia decidere di venire a Loreto, per venerare la reliquia della Santa Casa, possa anche dire: “Vado a trovare la buona gente di Loreto”. Nel cercare di essere buoni avremo un programma di vita valido per ciascuno di noi, per ogni famiglia, per ogni comunità, per ogni parrocchia. Valido anche per quelli che hanno ormai deciso di non voler essere buoni per niente: la misericordia di Dio, di cui Papa Francesco ci ha già parlato, c’è per tutti, insegue tutti, anche quelli che vorrebbero respingerla.
Ora, nello spirito dell’anno della fede, rinnoveremo insieme le promesse battesimali, confermando la nostra fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Benediremo poi il pane, che, al termine della celebrazione, riceveremo dalle mani dei nostri sacerdoti. Sia questo un segno di comunione e di condivisione fraterna, comunione con Dio, con Maria Santissima, con il falegname Giuseppe di Nazaret, con Francesco, Vescovo di Roma e nostro Pastore Universale.