Anche se non li abbiamo mai letti per intero, sappiamo tutti che i Vangeli sono quattro e che sono un fondamento ineludibile della nostra fede. Questi quattro libretti, che chiamiamo con il nome dei loro autori – Matteo, Marco, Luca e Giovanni – ci raccontano rapidamente alcuni episodi della vita e gli insegnamenti fondamentali di Gesù. Non sono una biografia completa del Signore, perché non ci dicono quasi nulla sui trent’anni della sua vita vissuta a Nazaret, e, anche dei tre anni della sua missione pubblica, raccontano solo una scelta di fatti e di discorsi, che possono essere letti tutti insieme in poche ore. Essi ci offrono però quanto è per noi necessario di conoscere per la nostra salvezza.
I Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II hanno scritto così: “La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima, che i quattro Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro salvezza eterna, fino al giorno in cui fu assunto in cielo” (Decreto Conciliare “Dei Verbum”, n. 19).
Alcune pagine le conosciamo bene: ce le hanno raccontate a casa, quando eravamo piccoli; più tardi, ce le hanno insegnate quando andavamo al catechismo; poi le abbiamo sentite in chiesa. E forse, quando il prete durante la Messa, ha cominciato a leggerle ancora una volta, abbiamo staccato la nostra attenzione, perché ci siamo detti: “Questa storia la so già”.
Eppure c’è ancora tanto che possiamo e dobbiamo conoscere, proprio da quelle poche pagine, così importanti fin da quando sono state scritte. Quando già la Chiesa si espandeva e conquistava nuovi fedeli, ad alcuni dei discepoli di Gesù è venuto in mente di mettere per iscritto i loro ricordi personali e le testimonianze lasciate da chi aveva vissuto più direttamente quella esaltante avventura che era stata, per tre anni, l’attività missionaria di Gesù nelle strade della Palestina.
Trascritti una infinità di volte in rotoli di papiro, questi racconti sono stati tramandati da una comunità all’altra, e sono stati oggetto di riflessione da parte di tutti quelli che sono stati conquistati dalla chiamata del Signore e hanno deciso di diventare suoi seguaci. Passano gli anni, i decenni e i secoli, ma quelle parole mantengono sempre la loro freschezza e la loro novità.
Quando il sacerdote o il diacono leggono in chiesa una pagina del Vangelo, durante la celebrazione liturgica, alla fine proclamano: “Parola del Signore”. Non è quindi parola semplicemente umana, non è soltanto l’opera di quelle persone che identifichiamo con Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Mentre essi scrivevano, lo Spirito del Signore li assisteva e li guidava – con una parola tecnica diciamo che “li ispirava” – così che “essi hanno scritto ciò che egli ha voluto insegnarci”, e cioè “quelle verità che sono necessarie alla nostra salvezza” (Catechismo della Chiesa Cattolica, Compendio, n. 18).
Quelle parole che ho letto o ascoltato qualche giorno fa, non sono quindi risapute e magari anche superate, perché risalgono a quasi venti secoli fa. Oggi come ieri, esse hanno qualcosa di nuovo da dirmi, perché sono parole vive, e, poiché anche io sono vivo, esse hanno una ispirazione e una forza da offrirmi proprio ora. È successo tante volte: leggendo di nuovo una pagina del Vangelo, abbiamo notato un personaggio a cui prima non avevamo fatto caso; abbiamo notato un dettaglio di cui non c’eravamo mai accorti. Sono un po’ come il cibo: abbiamo mangiato ieri e mangeremo ancora oggi, senza dire: “Non ne ho bisogno: ho già mangiato ieri”. Il nostro organismo assimilerà di nuovo quelle sostanze di cui abbiamo bisogno per avere le nuove energie necessarie per andare avanti nelle nuove attività quotidiane della nostra vita.
Ci avvicianiamo così alle pagine del Vangelo, non tanto con il desiderio di scoprire in esse insegnamenti nuovi, ma con la disponibilità ad ascoltare, una volta ancora, gli insegnamenti di sempre, in modo che essi continuino ad animare quel pellegrinaggio quotidiano che è la nostra vita. Con la semplicità della donna cananea, ci poniamo a raccogliere delle briciole: cose da poco, ma che possono nutrire anch’esse (cfr Mt 15,27).
Ecco quindi una piccola scelta di riflessioni, la cui ambizione è di chiamare la nostra attenzione su alcuni particolari del Vangelo a cui forse, fino ad ora, non abbiamo prestato l’interesse dovuto. Cominceremo avvicinandoci direttamente a Gesù, e leggeremo quei passaggi nei quali si ricordano i suoi sguardi, rivolti a persone individuali o a gruppi, e, in definitiva, rivolti a me. Poi ci soffermeremo ad esaminare quello che è invece il personaggio che, accanto a Gesù, è stato meglio descritto e ci appare quindi in tutta la ricchezza della sua umanità: l’apostolo Pietro. E infine cercheremo di conoscere alcuni personaggi minori, quelli che, pur essendo presenti con la loro piccola e grande storia, non sono ricordati con un nome e sono quindi anonimi.
In alcune occasioni, mi è stato chiesto di commentare brevemente alcune pagine del vangelo. Per un anno intero, sul “Nuovo Amico”, ho scritto riflessioni sul vangelo secondo Marco, seguendo le letture proposte nella liturgia domenicale del ciclo B. Per questo i commenti a Marco sono più numerosi. I brani del vangelo di Giovanni integrano quelli di Marco nello stesso ciclo liturgico. Le poche pagine di Luca e le appena due di Matteo erano state scritte per l’iniziativa della CEI “Nostra immagine”.
In ogni caso, non si tratta di pagine di esegesi, ma solo di un commento semplice e immediato, con la scelta di un solo spunto, per una applicazione del messaggio evangelico alla nostra vita quotidiana.
Un semplice suggerimento: queste riflessioni non sono un romanzo, che si legge in fretta con la curiosità di sapere come va a finire. Non sono neppure un testo di studio, su cui soffermarsi con uno sforzo serio di attenzione. Sono soltanto uno stimolo per alcune riflessioni, che possono farci bene. Cominciando a leggere, sarà utile metterci nell’atteggiamento di Samuele, il quale, quando era ancora un ragazzino, si è posto all’ascolto della Parola di Dio con l’invocazione: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3,10). Concludendo poi la lettura, facciamo nostra la domanda di Paolo, quando incontrò Gesù sulla via di Damasco: “Che devo fare, Signore?” (Atti 22,10).
Queste cose le chiederemo a Dio con serenità, senza lambiccarci il cervello per capire se siamo o no riusciti a fare quello che volevamo e se ci è arrivata l’ispirazione giusta. Lasciamo che le parole scendano nel nostro cuore e vi rimangano, nel silenzio e nel nascondimento. Ricordiamo la bella espressione del profeta Isaia: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10-11). Prendiamo, in definitiva, l’atteggiamento di Maria, che, nei giorni di Betlemme e nel silenzio di Nazaret, “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19.51).