Ero arrivato a Nairobi da qualche mese e ricevetti una lettera da una qualche società medica, che chiedeva il permesso di usare, per un “billboard” una foto del Papa Giovanni Paolo II, presa durante la visita in Kenya del precedente mese di settembre. L’immagine mostrava il Papa che stringeva la mano ad alcune infermiere e la didascalia diceva: “Un altro nostro cliente soddisfatto”.
Consultai Jacqueline, segretaria della Nunziatura da molti anni e quindi con molta esperienza, e le chiesi che cosa fosse questa società. Mi disse che era una specie di Croce Rossa, che aveva offerto la sua assistenza medica in occasione della visita del Papa. E cos’è un “billboard”? Una informazione pubblicitaria. Pensando alla Croce Rossa e a una foto che sarebbe apparsa per un giorno in un giornale locale, diedi il permesso con una lettera appositamente redatta.
Qualche settimana dopo, in una delle rotatorie di Nairobi, mi trovai di fronte ad un immenso cartellone pubblicitario, in cui era riprodotta quella immagine. Non era esattamente quello che avevo capito, ma sembrava che si trattasse comunque di compensare una meritevole opera di volontariato. Da diverse parti, sentii di gente contenta perché la foto piaceva e i nostri cattolici ne erano fieri. Seppi poi che di cartelloni, della stessa dimensione, che n’erano altri, in giro per la città.
Finché un giorno accadde qualcosa che mi fece gelare il sangue. In un ricevimento, non ricordo quale, una vecchia signora europea, mi disse: “Vorrei sapere da lei chi ha dato il permesso di usare la foto del nostro Santo Padre per una pubblicità commerciale”. Mi nascosi dietro qualche mediocre scusa, facendo finta di non sapere esattamente come fossero andate le cose. Chiesi poi perché considerava “commerciale” quella pubblicità, e lei mi spiegò che quella compagnia di assistenza medica era una assicurazione, che offriva servizi a pagamento. Niente Croce Rossa, quindi, ma solo un’impresa che si faceva pubblicità con l’immagine del Papa.
Cercai di pensare a cosa poteva succedere se qualcuno si fosse premurato di avvertire di questo la Segreteria di Stato, oppure se qualche cardinale di passaggio – ogni tanto ce n’era qualcuno – se ne fosse accorto e avesse comunicato la cosa a chi di dovere. Mi sentii in grave pericolo e nella prossima possibilità di essere nominato canonico onorario di qualche basilica minore a Roma o addirittura in provincia. Cercai quindi di mettere rimedio alla storia al più presto. Feci presente alla compagnia che c’erano state delle proteste per i cartelloni pubblicitari, che una eventuale disputa avrebbe leso l’immagine della loro società, che sarebbe stato ormai opportuno cambiare il soggetto e chiudere la vicenda, per la quale ero grato, ma ora basta. Ci fu un po’ di tira e molla, perché mi spiegarono che ci vogliono settimane per fare un tabellone così grande e così impegnativo. Comunque accettarono di cambiare, e, a tempo debito, tutti i “billboards” con il Papa scomparirono, per lasciare il posto ad un diverso messaggio pubblicitario.
Nessun testimone pericoloso si era accorto della sgradevole storia, nessuno mi aveva denunciato alle autorità superiori, nessuno aveva chiesto il mio scalpo in riparazione della grossa gaffe commessa.
Da allora in poi, ho imparato bene cosa vuol dire in inglese “billboard” e ho deciso di non chiedere informazioni del genere a Jacqueline, che aveva tante altre virtù e quindi poteva essere utilizzata per quelle, e non per le poche capacità che non aveva.