P. John Anthony Kaiser, missionario di Mill Hill, fu ucciso in Kenya nella notte tra il 23 e 24 agosto 2000 (vedi l’omelia per il suo funerale). Il 26 novembre 1995, aveva completato la redazione di un piccolo libro, “If I die – Se muoio”, nel quale ricostruiva i tragici eventi dei quali era stato testimone negli anni ’80 e ‘90, con i forzati trasferimenti di intere popolazioni nella regione dei Kisii e con episodi di violenze e uccisioni. Il testo è stato pubblicato nel 2003, con la mia prefazione.
PREFAZIONE
Nella vita della Chiesa, che rispecchia in un modo special la vita dell’umanità, l’esperienza del martirio non è un episodio isolato, ma accompagna la crescita di ogni comunità, nell’approfondire la comprensione del messaggio del Vangelo e delle sue esigenze nella nostra esistenza quotidiana. Con la sua testimonianza, un martire proclama che ci sono valori nella vita che sono più importanti della vita stessa.
Il comandamento di amore, che Gesù Cristo ha affidato ai suoi discepoli lungo i secoli, non può essere letto come una pia esortazione per una generica filantropia, per un amore globale dell’umanità come facile astrazione. Il Signore ci ha dato un ordine, e difficile, chiedendo da noi uno sforzo concreto di fare tutto quanto è in nostro potere per aiutare il nostro prossimo nella lotta per conquistare la dignità e il rispetto dovuto ad ogni creatura umana. Una voce profetica dei nostri tempi, il fiorentino “prete scomodo”, Don Lorenzo Milani, ha scritto che l’amore per tutti, che non diventa concreto nell’amore per persone specifiche, è astratto e come tale è soltanto un’ipocrisia.
P. John Kaiser, MHM, per molti anni è stato in Kenya una voce libera, che ha chiesto giustizia e rispetto per coloro che erano perseguitati dagli arroganti e dai potenti, per ragioni di interesse materiale, per smania di ricchezza e di potere, e, in qualche caso, per odio tribale. Invece di difendere i diritti di ogni cittadino, persone in posizione di autorità hanno usato la loro influenza per spingere altre persone ad agire in maniera criminale, dando inizio ad una tragica catena di violenza e di sangue, per sradicare molti dalle loro terre, usando ogni mezzo possibile, anche se illegale.
Gli episodi di scontri tribali in Kenya, nel periodo dal 1990 al 1997 hanno segnato profondamente la percezione che P. Kaiser aveva della società keniana e la sua comprensione delle responsabilità della classe politica. Cercando di stare vicino a quelli che erano perseguitati, per i quali aveva un profondo e concreto amore, egli ha trovato molta ostilità e poco aiuto, avendo talvolta l’impressione di essere un lottatore solitario, per una causa che a molti sembrava non molto importante. Quando P. Kaiser fu ucciso, molti di noi hanno pensato, con buone ragioni, che avremmo dovuto fare di più per stargli vicino, per essere con lui. Ed egli era certamente stato nella linea maestra dell’impegno esercitato dalla Chiesa Cattolica, non solo attraverso la voce di condanna ma anche con la presenza fisica sei suoi vescovi e preti, per aiutare le vittime della violenza e per riconciliare quelli impegnati nella lotta gli uni contro gli altri.
Quando il cadavere di P. Kaiser fu trovato, in quel remoto angolo di Naivasha, la ribellione è stata generale e la reazione immediata da parte di tutti fu di dire: “Basta!” Troppe uccisioni erano già accadute in Kenya, e per nessuna di esse era stata presentata una spiegazione ragionevole. Il forte intervento dell’Ambasciata Americana portò all’accettazione del coinvolgimento dell’FBI nel caso, e molti di noi hanno avuto la vana speranza che la luce sarebbe alla fine stata fatta in questo tenebroso episodio.
Purtroppo, la nostra fu una manifestazione di ingenuità: quando la sentenza fu resa pubblica, nella forma del famoso – o piuttosto infame – rapporto dell’FBI, ci rendemmo conto che P. Kaiser era stato ucciso una seconda volta, questa volta nella sua credibilità. Queste persone, mentre continuano a proclamare che hanno ammirato P. Kaiser e che lo consideravano un grande cittadino degli Stati Uniti, cercano ora di offrirci l’immagine di un uomo malato, incline alla depressione e, si capisce, con tendenze suicide: al punto che, in un tragico momento finale, era preparato a buttare via tutto quello in cui aveva creduto durante la sua vita, e per cui aveva speso la sua intera esistenza. Con il linguaggio sterilizzato dei documenti ufficiali, egli è morto “per una ferita auto inflitta”. In modo che per quelli che cercano la verità, il compito è ora doppio: provare che quest’uomo, che ha lottato per la giustizia tutta la sia vita, è stato veramente assassinato, e che egli non ha cercato un modo facile per sfuggire alla lotta proprio nell’ultimo momento della sua vita.
Dalle pagine di questo libro, dalla sua prosa nervosa, nella quale sono assenti retorica ed effetti compiacenti, molto della personalità di P. Kaiser viene fuori, nella chiarezza degli episodi riportati, nell’analisi redatta senza paura, nella onnipresente compassione per le vittime di quel cinico complotto. Nelle sue parole, nella sua forte denuncia dell’ingiustizia, P. Kaiser è ancora vivo e la sua battaglia per la giustizia e per la dignità di ogni persona umana continua ancora.
Forse ora in un modo ancora più forte di prima.
+ Giovanni Tonucci
Nunzio Apostolico