Tra i ragazzini di Nyumbani, David Karangia si distingueva per una particolare vivacità e per un viso molto espressivo. Direi che bastava guardarlo una volta per sentirne simpatia. Una sua qualità, che scoprii con molto piacere, era la bravura nel recitare. Anche per questo, il suo nome mi è rimasto nella memoria, mentre tanti altri ci sono entrati e poi ne sono usciti, pur con mio rammarico.
Con David ho vissuto un episodio divertente. Nella celebrazione di una Messa a Nyumbani, gli è stato affidato il compito di reggere il pastorale, che era quello di legno, scolpito a mano, che mi era stato regalato dell’arcivescovo di Sucre nel 1991. Prima dell’inizio, come ho fatto tante altre volte, ho spiegato ai chierichetti i diversi momenti in cui avrei usato la mitra e il pastorale. Poi a David ho aggiunto: “Stai attento a non far cadere il pastorale, perché se cade si rompe, e se si rompe io ti ammazzo”. Completai l’avvertimento, dicendogli che nel mondo c’erano già diverse tombe di chierichetti che avevano rotto quel pastorale.
La celebrazione, all’aperto, procedette senza problemi fino alla breve omelia, che io feci in inglese, sapendo che subito dopo un catechista avrebbe ampliato il mio testo, parlando in swahili. Per questo, io sedetti ma prima restituii il pastorale a David, che stava in piedi vicino alla parete dell’edificio che chiudeva quel lato del cortile. Il catechista, evidentemente, non aveva nessuna fretta, e prese tutto il tempo che gli era necessario. Per me, che non capivo quasi nulla, aveva superato da un pezzo i limiti della paziente sopportazione.
Senza che io me ne accorgessi, anche David si era stancato, e stava giocherellando con il pastorale che, a un certo punto gli sfuggì di mano, il ricciolo batté contro il muro e si spezzò. Avvertito dal rumore, guardai in quella direzione e vidi che era rimasto soltanto un bastone diritto, senza la tipica e necessaria voluta. Nello stesso tempo, vidi la faccia terrorizzata del povero David, che certamente stava ricordando la minaccia: “Se si rompe, ti ammazzo”. Lo chiamai con un gesto e lo feci sedere sulle mie ginocchia (era abbastanza piccolo perché lo potessi fare). Gli spiegai che non era affatto arrabbiato con lui, che quello avevo detto era uno scherzo, che il ricciolo poteva essere aggiustato facilmente e sarebbe tornato come nuovo. La Messa finì con il pastorale mutilato, me non ne fu toccata la validità della celebrazione.
Quando giunse il Natale, tornai a Nyumbani per celebrare la Messa. I chierichetti erano pronti e anche David era lì con la veste di rigore. Quando cominciai a distribuire gli incarichi, vidi che lui restava indietro, ma lo chiamai: “Per il pastorale, voglio Karangia. Mi fido di lui”. Ne fu fierissimo e, ovviamente, quella volta non ruppe niente.
Un paio di anni dopo, P. Dag mi disse che David era stato avviato altrove. Ad un esame clinico, era apparso che non era sieropositivo. Le autorità sanitarie lo avevano affidato a Nyumbani senza controllarne la situazione, ma ora era stato possibile fare un test e si era visto che egli era del tutto sano. Per questo, non era accettabile che restasse in una comunità in cui tutti i suoi compagni erano sieropositivi.
Non ho più visto David Karangia, e me ne è dispiaciuto, Ma era giusto che la storia finisse così.